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Essere disadattata è la mia forza.


Impedendo alla mia mente di essere al sicuro, cerco un altro movimento, un altro inizio. 
Se la bellezza esiste, io sono bella. La consapevolezza, l’attraversamento di ciò ha portato ad una conversione che ha rivelato una verità che io non ho potuto ricavare dal mio essere bella ma, al contrario, è dall’idea stessa di bellezza che proviene: nel vivere la bellezza, seppure in maniera contraddittoria, fa sì che io sia divenuta un’altra.
D’altra parte la bellezza non è che incarnata; la bellezza è del corpo non della soggettività. Una mia amica, ricoverata in ospedale,  mi raccontava che aveva poco capito il commento di Dario Fo ad una tela di Caravaggio. Una sera le apparve una delle sue compagne di corsia, nel corpo sofferente e reclinato sul lenzuolo. 
“La Deposizione” inizia con la fossa scavata e vuota, estremo luogo di giacenza della carne che là finisce dopo che la sofferenza l’ha inchiodata ad un tempo il cui presente è un abisso. Tutto il quadro è visto dal basso. Il corpo di Cristo sembra discendervi. Ed invece attraversandolo, l’occhio viene spostato in parallelo nelle zone superiori, ai volti delle donne chinate. Quel corpo era precisamente l’incarnazione.
Non dal nulla nasce la mia bellezza, nata da una madre più bella di me, ho riconosciuto da subito in lei e lei in me, la continuità di quella forza. A mio fratello la capacità, a mia sorella l’intelligenza, a me la bellezza; questa si rivelava subito senza pensiero. Anni ad acquisire una competenza che facesse funzionare “la capacità di piacere” nel lavoro di indossatrice, nella seduzione anche politica.
Arriva il femminismo, l’incontro con le Nemesiache, con Lina Mangiacapre; la bellezza di Lucia diventa di più donne che si vivono belle e fanno di questa una necessità vitale con cui provocare il mondo, ricercare il mito, quello antico della sirena Parthenope, quello greco, la possibilità di credere nel sogno e nella magia non contaminate e senza violenza. Il femminismo, il movimento politico delle donne ha rimosso la bellezza, ma evidentemente la sua esistenza si ripropone forte tra noi dopo circa vent’anni.
Non a caso Madrigale, rivista di politica e cultura delle donne, nata a Napoli nel 1989, pone più volte nei suoi articoli riflessioni sulla bellezza. L’ultimo numero del ’93, apre con un dialogo tra Luisa Cavaliere e me. Nell’articolo addirittura ipotizzo nei confronti della bellezza e dell’amore la necessità di un’autorità estetica.
In quegli anni iniziava il nostro rapporto con la Libreria delle Donne di Milano, con Luisa Muraro e Lia Cigarini, una pratica politica che abbiamo sentito subito di condividere. Tuttavia, nonostante la libertà del partire da sé,  non si è saputo vedere una nuova soglia da dove cominciare a parlare della bellezza se non mortificandola. Eppure bellezza e politica si sono incontrate: è accaduto che per una donna fosse possibile essere come desiderava senza “bardature, trucchi e scollature” che la proiettavano nel desiderio maschile, sganciata dal piacere all’altro/a, dal piacere al mondo. Se la bellezza ha un senso filosofico, poetico, artistico può avere anche un senso politico? Non alimentata dalla forza ma dalla fragilità, la bellezza, nella politica usuale viene annientata, ridotta. A questo punto la bellezza non fa più questioni, divenendo così invisibile.
“Maglia o uncinetto” di Muraro ed alcuni passaggi di “Politica del desiderio” di Cigarini, alludono ad un linguaggio che si fa bellezza, ma quello di cui probabilmente avevamo ed abbiamo bisogno è di una bellezza che si faccia linguaggio, una forza che risvegli cadaveri sepolti  
Nella trilogia che Julia Kristeva ha dedicato al genio femminile, “Colette” dice l’indicibile e nomina l’innominabile: la bellezza liberata dalle consolazioni della ragione svela i segreti della vita, uno scandaloso diritto alla felicità, al piacere di vivere che è senza distinzioni piacere dei sensi e della parola.
L’armonia tra bellezza e linguaggio esiste in un contatto intimo ed inafferrabile, ci penetra e ci modifica solo se la bellezza è pensiero, dice senza dire, fa spazio tra la folla, genera silenzio, esige rispetto, rompe equilibri.

D’altro canto la bellezza è realtà, appare ai nostri occhi, è sentita dai nostri sensi; ciononostante si rappresenta come valore solo insieme al bene e alla giustizia, divenendo così misteriosa ed astratta. Bisogna dunque diffidare dalla bellezza? Ma la verità politica della bellezza non sta nel suo esistere tra noi corpo ed anima, nel fatto che ci parla?
La bellezza appunto è incarnata; la materialità della bellezza umana avvolge come un respiro; quando questo accade è senza annunci né preavvisi, ti coglie la meraviglia che si matura in quell’istante dopo il quale non sei più la stessa e la vita, con la sua corsa ad ostacoli, non ha più lo stesso senso. Essere belli significa essere contagiati, solo allora la condizione umana appare nella sua vulnerabilità, solo allora s’impara ad amare di più. S’impara a capire il dolore.
La bellezza per una donna vive nell’incontro, non chiede conferma, imprevedibile smuove la realtà, potenzia piccole cose della vita, povera nella sua semplicità, femminile all’origine crea una nuova nascita del mondo, non chiede consenso, sfuggendo senza sforzo all’omologazione: si rigenera ogni volta dal corpo e dal pensiero.
Vive nella bellezza una disparità che non consente reciprocità, tutt’al più sullo sfondo il segno del debito verso l’Altro. 
Essere disadattata è la mia forza, impedendo alla mia mente di essere al sicuro, cerco un altro movimento, un altro inizio.

Lucia Mastrodomenico  (2003)