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Guardiamo nell’Aperto: la civiltà dell’indifferenza


A un mese  dalla strage  degli immigrati (120 persone a bordo tante donne e bambini  che è affondato a 50 miglia da Tripoli) la velocità delle informazioni tende a far dimenticare quel grave episodio.
Alessandra Ziniti di Repubblica, il 1 febbraio 2019,   intitolava il suo articolo  “Tre ore di indifferenza,  le omissioni degli italiani  nella strage dei 117. I migranti avvistati alle 13.40, i libici coordinano i soccorsi solo alle 16,40”.Il procuratore di Agrigento “ In 180 minuti tra vita e morte” .
L’indifferenza e lo scambio di responsabilità tra paesi è la colpa di un ipocrita sistema di soccorsi.
Il superstite Nasir  dichiarava “ Chiudevo gli occhi per non vedere i morti intorno a me, non avevamo giubbotti, mi sono salvato rimanendo aggrappato al gommone” cercando di resistere agli strattoni disperati degli altri compagni di viaggio che annegavano attorno a lui. E’ un racconto drammatico che non dovrebbe più ripetersi. Ci auguriamo che la solidarietà prevalga sull’indifferenza.
In questa circostanza, voglio ricordare il pensiero di Maria Luisa Boccia nel suo recente libro “ Le parole e i corpi” scritti femministi, uscito recentemente, dove al settimo capitolo tratta la civiltà dell’indifferenza e così ricorda le  parole di Papa Francesco :  “Siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro. Siamo in una società che ha dimenticato l’esperienza di piangere, del patire con”.  Indifferenza è l’abito che indossiamo nella vita di ogni giorno, il modo in cui ci poniamo di fronte agli eventi per lo più da spettatori. Definirei  l’indifferenza lo spirito del tempo …” Rispetto al quale misericordia, come compassione-patire con-, scrive papa Francesco, può essere kairos, per un cambio d’epoca: questo tempo è “tempo di misericordia” Globalizzazione dell’indifferenza, tempo di misericordia” (discorso del Papa a Lampedusa nel  luglio 2013 ).
Ancora la Boccia si avvale di due testi per definire l’indifferenza di questo secolo: “La civiltà dell’indifferenza” di Pietro Ingrao e “Liberi e Servi” di Gustavo Zagrebelski.
Ingrao parla di “civiltà” in quanto l’indifferenza è divenuta compimento del moderno. L’egoismo si denuda, si dichiara. Anzi si celebra. Non ricorre più ad un vincolo comunitario, ad una forma di trascendenza, un principio  o valore per  giustificarsi. Egoismo puro, la cui sola motivazione , la missione decisiva è la vittoria, nel possesso e nella  competizione. In un tempo dove tutto o tanto è desacralizzato, gli sconfitti non possono alludere neppure ad un  domani. Che cosa c’è di più  egoistico  “che negare non solo il presente, ma anche l’avvenire a un altro possibile punto di vista ?”. Il solo vincolo è quello del mercato, il luogo della gara dove si è gli/le uni/e e di fronte a gli /le altri/e.
Per Gustavo Zagrebelski l’indifferenza designa la forma contemporanea del potere. Il potere induce, e si avvale dell’indifferenza, perché produce una riduzione e frantumazione delle relazioni orizzontali, fino all’insignificanza, se non alla scomparsa.
Sia papa Francesco che Pietro Ingrao, dice la Boccia, evidenziano come  l’indifferenza trovi la sua espressione principale - “pura “ , scrive Ingrao - nei confronti dei/delle migranti. Di coloro che vivono questo tempo e questo spazio in movimento da un luogo ad altri. Verso i/le migranti l’egoismo maturo assume le forme più esacerbate e dirette della distanza ed impermeabilità. Ingrao precisa, significativamente, non parlo di razzismo, ma di sottile appagata indifferenza…..
Papa Francesco : sono i/le migranti le vittime della globalizzazione dell’indifferenza. Parla esplicitamente di una guerra contro di loro, condotta con altre armi, rispetto alle guerre che li mettono in fuga dalle terre di origine .
E ancora Maria Luisa  Boccia afferma : “Che cosa c’è di più assoluto nell’egoismo, del negare la libertà di movimento all’altro/a?. Di respingere il suo farsi prossimo, visibile, udibile, tangibile?. Per Hannah Arendt la servitù comincia dove la libertà di movimento è frenata, non bloccata. Come ebrea profuga, a lungo apolide, sapeva bene di cosa parlava. Negando ai/alle migranti libertà di movimento, noi neghiamo loro il futuro, non solo il presente. E quindi neghiamo all’altro/a da noi, di essere portatori e portatrici di una differente possibilità di vita: una possibilità inedita, imprevista, in quanto proviene da un altrove. E dunque un ‘occasione, innanzitutto per noi.”

Luisa Festa