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Cosa sono i diritti umani?

Unanime sul punto appare la posizione della dottrina e della giurisprudenza che li riconosce come diritti scolpiti nella natura umana e che gli uomini possiedono fin dalla nascita.
 Dal momento che non li ha creati nessun ordinamento, nessun potere  può distruggerli, ma deve riconoscerli, come appunto recita la nostra costituzione: "La Repubblica riconosce […] i diritti inviolabili dell'uomo" (art. 2).
 La Dichiarazione dei diritti dell’uomo, risalente alla fine del XVIII secolo (1789) ha segnato una svolta nella storia: con l’elaborazione di tale documento accadeva infatti che “d’allora in poi, l’uomo e non il precetto divino o gli usi consacrati dalla tradizione, sarebbero stati la fonte del diritto”. L’uomo, secondo l’intenzione dei compilatori della Dichiarazione Universale, si era appena affermato  come un essere completamente isolato, emancipato da qualsiasi autorità o vincolo, che portava in se stesso la sua dignità senza riferimento a un ordine superiore più vasto. 
L’arco temporale che si dipana tra il 1789 ed il 1948 è caratterizzato da una fitta serie di avvenimenti, storici e legislativi, utili a cogliere i tratti rilevanti del fenomeno di emersione dei diritti umani, dimostrando che non esistono confini inamovibili per la definizione del perimetro dei diritti umani: “ l’Umanità” oltrepassa i limiti  ritenuti invalicabili.
La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 esordisce così: "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti". Queste parole riecheggiano i documenti più solenni della Rivoluzione americana (1776) e francese (1789) e ribaltano il tradizionale rapporto fra governanti e governati, là dove si voleva che i primi fossero titolari di diritti e i secondi destinatari di doveri. Qui, invece, si stabilisce che ai governati appartengono diritti che i governanti hanno il dovere di riconoscere. 
La costituzione della Repubblica italiana si impegna ufficialmente a riconoscere e a difendere quei diritti fondamentali dell’uomo sanciti dalla Dichiarazione Universale del 1948, così come emerge dalla mera disamina dei suoi articoli. 
L'articolo 2 della costituzione Italiana così recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
Questo articolo tutela i diritti civili della persona non  più come individuo isolato ma  come cittadino collocato in una dimensione di importanti relazioni sociali, all’interno delle quali può sviluppare e arricchire la propria personalità.
Il successivo art. 3 statuisce: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Questo articolo è considerato quello centrale di tutta la Carta Costituzionale poiché esso influisce sull’intero corpo della costituzionestabilendo con forza il principio di uguaglianza tra i cittadini di fronte alla legge.
Ciò significa che di fronte alla legge dello Stato italiano tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e doveri; a tal riguardo  si deve dire che la parola "cittadini" è intesa in modo ampio: è cioè riferita a tutti gli uomini e non solo ai cittadini italiani. 
Argomentando a contrario, da tale breve excursus, possiamo affermare che ogni essere umano, benché appartenente ad “una minoranza”, così come il “senza dimora”, è titolare  di diritti inviolabili che gli derivano dalla sua stessa  natura: il diritto alla vita, alla salute, al lavoro, alla famiglia, alla pari dignità sociale, alla libertà.
Nella vita di tutti i giorni il principio di uguaglianza, cristallizzato nella carta costituzionale, si trasforma, nel concreto, nel diritto a votare, riscuotere la pensione, essere iscritto al Servizio Sanitario Nazionale, alle liste del collocamento, al registro delle imprese nonché  nel diritto a godere del beneficio di prestazioni previdenziali, ad accedere al giusto processo, esercitando il diritto alla difesa.
La residenza, però, spesso costituisce presupposto necessario per l’accesso  a questi diritti fondamentali. L’iscrizione alle liste anagrafiche, infatti,  è la porta attraverso la quale si entra a far parte della società; è l’occasione per fruire dei contributi sociali e dei sussidi eventualmente erogati dal comune di residenza.

Fabiana Lo Parco (prima parte)
Tratto da “Diritto e Senza Dimora: l’esercizio del diritto di cittadinanza e la tutela legale delle persone senza dimora” pag. 83 del libro “Persone senza dimora” edizioni “Ad est dell’equatore” 2018