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La scuola dell'Imbuto di Norimberga.

 Un comune palazzo, normali appartamenti, un condominio. La scuola dell'Egiziaca a Pizzofalcone era una casa scomoda e affollata, i banchi addossati in file che per alzarsi come a teatro bisognava scomodare tutti. La gomma cancellando imbrattava il banco vicino, il gomito della compagna spiazzava la mano che scriveva, la pioggia rigava i vetri e la poca luce finiva inghiottita dai grembiuli neri, dalle pagine gialle del vocabolario.

La chiesa dell'Immacolata era invece bellissima. Ci si passava davanti andando a scuola e la sua scala sorridente, la sua facciata morbida erano rassicuranti. Giungendo da Monte di Dio, invece, i palazzi patrizi rattristavano il percorso con le loro facciate severe, e palazzo Serra di Cassano accecato raccontava storie di morte, tanto che la caserma in fondo acquistava, arrivando e prima di piegare a sinistra, un'aria quasi allegra.

Le lezioni di italiano erano noiose, quelle di musica erano più impegnative di quelle di matematica, la matematica difficile, e solo qualche disegno ben riuscito rallegrava la giornata. La primavera, perché c'erano i fiori e le farfalle, La bambina sull'altalena, perché c'era il vestito svolazzante della bambina, e le solite principesse con il principe e i cavalli, L'autunno marrone e L'inverno con i fiocchi di neve.

Serenella mi faceva i complimenti e chiedeva una mano per i disegni. Portava la frangetta e aveva il naso all'insù. Era deliziosa.

Il latino aggravava i pomeriggi di studio con interminabili analisi, con declinazioni e coniugazioni ripetute fino alla nausea, al punto che a ora di cena risultava naturale chiedere quid edimus, mater? con sorprendenti e differenziate reazioni della famiglia. L'utilizzazione della lingua latina in ambito privato può risultare infatti molto gratificante. Davanti allo specchio mi immaginavo vestita come una donna romana, con la tunica i sandali ed i riccioli sulla fronte. Congedandomi, mi salutavo con un ave.

Il ricordo delle compagne purtroppo resta vago e credo che ciò avvenga per il formidabile egocentrismo che accomuna tutti i ragazzini di quella età e da cui, talvolta, alcuni non vengono più fuori. Resta anche il ricordo di una percezione lievemente sgradevole di inadeguatezza, anche fisica, lontana dalla trionfale e logorroica spensieratezza degli anni precedenti.

Leggevo in quegli anni un libro dalla colorata copertina di cartone, I fanfaroni del re di P. Féval. Lo rileggevo quasi immediatamente dopo averlo finito. Leggevo anche Incompreso della Montgomery, Piccole donne con quel che segue della Alcott, e poi Alexandre Dumas, Jules Verne, di cui preferivo il Voyage au centre de la Terre, Salgari, Il giardino segreto di Frances Hodgson (bellissimo!). Era la letteratura per ragazzi.  Fu quella a salvarmi dai programmi scolastici. Sarebbero seguite le saghe, pezzi strappati da libri di cui non ricordo il nome, leggendarie e cavalleresche, popolate di eroi e di re, Tolstoj, Wilde, ma anche Sherlok Holmes e Agatha Christie... Avevo già da tempo buttato alle ortiche Pinocchio e De Amicis, dopo le prime pagine.  Nessuno aveva raccontato a scuola le vicende leggendarie legate al giallo Echia -Eupleo Emple, Epla, Hecle, Ecla, Echa., nessuno mai ci aveva regalato la storia di quella zona, di quelle strade. Il surrogato unico proveniva da una passeggiata che abitualmente facevo con mia madre, quella dei "duje centesime", con la poesia sotto l'arco in un viale senza uscita.

Molto tempo dopo, la lettura delle belle pagine della Serao (M. Serao “Leggende Napoletane” Ed. Bideri 1970) mi avrebbe rivelato il mito della sirena Parthenope, la vergine dalla voce di fanciulla, che aveva dato il suo nome al primo nucleo di quella che sarebbe stata la città di Napoli.  Un pezzo della statua della sirena in un tempo remoto e misterioso era diventato parte della statua di Marianna capa e' Napule.  Quanto al Chiatamone, avrei scoperto che derivava il nome dall'antico monte Platamon, "rupe scavata da grotte". 

Era infine la nonna a raccontarmi che da quella collina aveva origine la sorgente di un'acqua di origine vulcanica, acqua zuffregna acqua ferrata, o acqua di mummare raccolta e venduta in piccole anfore (le mummarelle).

Dalla scuola media mi congedai con cinica indifferenza. Conservai per ricordo un solo quaderno, quello di tedesco, qualche disegno, e una fotografia che sul retro recava le firme delle mie compagne. In estate, presi l'abitudine di recarmi alla Biblioteca nazionale, che aveva allestito la sezione per ragazzi nei giardini antistanti l'ingresso principale. Non si può descrivere il godimento che mi invadeva quando, sollevando lo sguardo dalle pagine del libro potevo, alzando il capo, proiettare le immagini che si andavano formando nella mente sullo scenario mutevole del cielo tra i rami, nuvolo o sereno, ventoso o quieto, dorato e poi rosato allorché, al tramonto, la biblioteca chiudeva e dovevo ritornare a casa.

 

Maria Colaizzo

Tratto da: “La Scuola marginale” ed. Millerighe – Napoli 2015