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Mina Petrillo

“Mina Petrillo” è il titolo dell’elaborato di Vittoria De Nicola, vincitore del Premio Lucia Mastrodomenico per il Liceo “Mazzini” ed inoltre vincitore del “Superpremio”, cioè del premio aggiuntivo, per l’elaborato più rispondente al tema proposto, tra i vincitori delle 4 scuole partecipanti. Quindi, nel caso di Vittoria De Nicola, la motivazione della Commissione Esaminatrice è duplice:

 

MOTIVAZIONE ASSEGNAZIONE 1°PREMIO LICEO MAZZINI: 

“Vittoria ci racconta che Mina è nata e cresciuta nei quartieri spagnoli, casa piccola, famiglia numerosa, padre assente, se non peggio. A dieci anni la madre accompagna Mina, alla mensa bambini proletari, dove riceve un pasto caldo, studia e gioca con gli altri bambini. Lì conosce Lucia: <La donna a cui devo tutto>. Da grande Mina diviene anche lei una donna <custode della cura> e accudisce famiglia, marito, figli, gli anziani genitori.  Quando, una mattina, Mina si trova a Montesanto, afferma: <un brivido ha attraversato il mio corpo: mi sono sentita fiera d’essere donna, orgogliosa del mio passato, delle difficoltà che ho superato e di essere stata capace, anche se inconsciamente, a guardare il mondo con occhi migliori, quelli di Lucia> Un racconto struggente capace di analizzare mirabilmente il significato più profondo della frase oggetto del Premio.

 

MOTIVAZIONE ASSEGNAZIONE SUPER PREMIO: 

“Vittoria è riuscita a cogliere le motivazioni più etiche e profonde del pensiero di Lucia. La commissione all’unanimità ha ritenuto di assegnare a lei il super premio in quanto: <ha fatto sentire vicina la presenza di Lucia, sia a chi l’ha conosciuta ed amata in vita, sia a chi l’ha conosciuta solo quando la sua vita terrena era già finita>”

 

Ecco Il testo di “Mina Petrillo”

 

Il mio nome è Mina Petrillo. Non mi aspetto che lo conosciate perché il mio non è un nome importante ma ho visto molte cose, ho incontrato gente e ascoltato storie che meritano d'essere raccontate, perché finché si parla non si può dimenticare. Sono nata e cresciuta nella Napoli degli anni '70. Vivevo nei quartieri spagnoli in una casa troppo piccola per la mia famiglia numerosa. Mio padre non c'era mai, lavorava in una piccola industria di guanti e di lui ricordo solo quell'orrendo odore di pelle e colla misto a tabacco ed alcool; rincasava quando dormivamo già da un pezzo ma ci svegliavano le sue urla contro mia madre. Ero piccola quando morì, ma ricordo perfettamente come stavamo tutti meglio senza di lui. Ora, col senno di poi, mi domando come abbia potuto mia madre farcela da sola. Quando avevo circa dieci anni, nel ‘73, aprì a Montesanto la “Mensa dei bambini proletari" ed ogni giorno mia madre ci obbligava ad andare. Diceva che avevamo ricevuto una benedizione dal cielo; lì ci offrivano un pasto caldo, un posto dove stare per evitare la strada, ci facevano studiare ma anche giocare. Spesso veniva una donna, l'ammiravo per la sua bellezza: aveva capelli rossi, folti; era alta, magra, slanciata, pelle chiara, belle forme, sempre elegante. Si trattava di Lucia, Lucia Mastrodomenico, la donna a cui devo tutto. Si trasferì a Napoli da bambina e partecipò ai movimenti femministi che nascevano proprio in quel periodo. Divenne un'attivista e a soli 21 anni organizzò quella meravigliosa mensa che offriva riparo ai ragazzi in difficoltà. Nel‘93 Lucia pubblicò un libro meraviglioso “gli anni ‘70 e Napoli” in cui raccontò tutto ciò per cui da sempre si era battuta: la tutela delle donne. Ma, badate bene, stiamo parlando degli anni ‘70 e soprattutto di una donna del Sud. Non promuoveva la solita parità tra sessi perché, sosteneva, le donne sono diverse! Il pensiero di Lucia era che la donna non solo doveva godere dei medesimi privilegi dell’uomo ma anche disporre, grazie a politiche sociali, di tutti quegli aiuti necessari per adempiere a quei compiti che storicamente le spettano. Perché lo stereotipo di sempre prevede che la donna sia “custode della cura ”e “maestra del dolore”. Noi donne abbiamo il dovere morale di accudire: famiglia, figli, marito, genitori anziani. Da sempre. Ebbene, questa è la nostra natura; ma lo Stato ha il dovere di sostenerci, offrendoci la possibilità di non dover rinunciare al lavoro o addirittura a scegliere tra carriera e maternità, per diventare efficienti come un uomo. Quando i miei figli erano piccoli, avrei voluto avere la serenità di portarli all'asilo senza dover spendere un centesimo, perché è mio diritto lavorare e lasciare che lo Stato si occupi del loro benessere. Ma in Campania gli asilinido sono pochi e le liste d'attesa lunghissime. E avrei voluto anche che lo Stato mi avesse alleggerito l'animo e il corpo durante la lunga malattia di mia madre. Se uomini e donne hanno pari diritti perché noi donne dobbiamo sempre rinunciare a qualcosa? Essere costantemente stanche e non avere tempo per noi stesse se non per svariati sensi di colpa? Questa mattina ho preso come sempre la funicolare di Montesanto; ero stranamente in anticipo così ho deciso di allungare un po’ la strada e mi sono ritrovata in Vico Cappuccinelle dove era la Mensa. Ho chiuso gli occhi e un brivido ha attraversato il mio corpo: mi sono sentita fiera d’essere donna, orgogliosa del mio passato, delle difficoltà che ho superato e di essere stata capace, anche se inconsciamente, a guardare il mondo con occhi migliori, quelli di Lucia

 

Vittoria De Nicola