La scuola è finita. È tempo di esami. La scuola
è l’anima dell’associazione “Madrigale per Lucia”. Le insegnanti (anche se
preferisco affettuosamente chiamarle “maestre”) che collaborano con noi,
contribuiscono anche alla produzione del periodico che state leggendo. Senza le
maestre non avremmo potuto realizzare otto edizioni del Premio per le scuole
dedicato a Lucia, e stiamo programmando l’edizione numero nove. Lavoro volontario
di donne che già s’impegnano a tempo pieno (anni fa andava di moda dire “a
tempo più che pieno”) per la scuola pubblica e contribuiscono alla
realizzazione del Premio mostrando, da tempo, cosa significa, nella pratica gratuità ed eticità professionale.
Armida, Elvira, Lia, Maria, Michela, Vera,
Virginia e la coordinatrice Maria Colaizzo, sono state, in questi anni, le
apripista di una modalità operativa capace di realizzare interrelazioni con le
altre insegnanti, coinvolgimento dei/delle Presidi, risultati concreti per le
studentesse e gli studenti che hanno partecipato al Premio.
Per salutare l’ultimo giorno di scuola abbiamo
pensato di pubblicare la lettera di un insegnante, indirizzata al Direttore del
quotidiano Avvenire che racconta la sua esperienza nella scuola e negli
ospedali. (RL)
La scuola è lusso pubblico:
senza, alcuni sono più soli
Marcello Bramati
Insegnante di Liceo e d’Ospedale
Caro direttore,
la scuola è finita, è tempo di esami di Terza media e
di Maturità e, come tanti docenti, anche io ho assistito ai festeggiamenti dei
miei studenti al suono dell’ultima campanella. Quest’anno c’è stato un ultimo
giorno come non se ne vedevano da un po’. Il ritorno alla normalità, intesa
come frequenza collettiva e costante dopo la scuola a singhiozzo degli ultimi
due anni, ha riportato la tensione del finale dell’anno con le ultime
interrogazioni e verifiche, con le rincorse per evitare un debito o per migliorare
la media voti. Tutto questo, insieme alla stanchezza accumulata e al caldo
dell’ultimo mese, ha portato all’esplosione di gioia per la fine dell’anno.
Oltre ad insegnare lettere in un liceo milanese, sono
anche titolare di alcune ore nel reparto ospedaliero che ospita le lunghe
degenze presso l’ospedale Niguarda di Milano. E così al suono della campana del
liceo in cui lavoro, mi sono recato per l’ultima ora anche in ospedale. E qui
ho toccato con mano una realtà diversa, fatta di silenzio e di poca voglia di
festeggiare, nonostante fosse un ultimo giorno, nonostante l’età degli studenti
adolescenti fosse la stessa.
La scuola per i lungodegenti, per lo più studentesse e
studenti con disturbi legati all’alimentazione o pazienti ricoverati in unità
spinale per traumi tremendi o interventi assai delicati, la scuola per tutti
loro è il gancio con la normalità. E’ il filo che tiene insieme un periodo
sghembo della propria esistenza e una vita da ricostruire, o di cui
riappropriarsi.
La scuola in ospedale è occasione di riscatto. Mi
dedico alla sezione ospedaliera da soli due anni, ma sento di non poterne più
fare a meno. Prima di due anni fa non sapevo nemmeno cosa fosse, come
funzionasse. Per chi vive 'tra i sani', luoghi come gli ospedali – o i
riformatori, per fare un altro esempio – sono mondi paralleli di cui si sa poco
e niente. Eppure esistono e sono fatti di persone, ragazzi, uomini e donne,
professionisti. Sembra retorico, banale, ma è un sottinteso con cui si fa i
conti quando si tocca con mano.
La scuola italiana vive un periodo oscuro e, tra le
tante difficoltà, fa i conti con una crisi di motivazione terribile. Poca la
passione che la costituisce, troppa la burocrazia, troppa l’importanza per le
valutazioni che sono sempre più giudizi da criticare. Ecco, con la scuola in
ospedale si torna alle sorgenti e si entra a far parte di una piccola comunità
in cui il sapere è un privilegio, il tempo è prezioso, il maestro è una figura
da cui apprendere il più possibile e la valutazione un elemento costitutivo,
certo, ma inserito in un quadro di priorità e di importanza fin troppo
eloquente, date le circostanze, dato il livello di sofferenza in questione. E’
un peccato che si debba andare in un corridoio di ospedale per ritrovare il
senso più vero e più pieno della scuola, ma nel nostro Paese in cui serve
sempre l’emergenza per accorgersi dello stato delle cose, così è anche per la
scuola.
Gli studenti che vivono la scuola in ospedale
frequentano in reparto diversi mesi, l’intero anno, talvolta anche più di un anno.
Sono ragazze e ragazzi affaticati da tutt’altro rispetto alla scuola e
convivono con problematiche quotidiane più grandi di loro, ma che sono loro.
Per questi studenti fare lezione significa provare a tenere un ritmo, un passo.
Quello dei loro compagni di classe, quello di chi ieri ha finito la scuola in
aula e ha festeggiato fuori dal portone della scuola.
La scuola in ospedale ha chiuso i battenti e da oggi
c’è un esercito silenzioso di studenti che è tornato a essere solamente un
esercito di giovani degenti. Niente più confronto con i docenti, niente più
ospiti speciali e graditi come Manzoni che termina il suo romanzo, o Annibale
che varca le Alpi con i suoi elefanti, o ancora Odisseo che fa di tutto per
tornare ad essere se stesso, nonostante tutto. La scuola in ospedale ricorda a
se stessa proprio questo: deve tornare a essere se stessa, vale a dire un lusso
pubblico capace di portare sapere, cultura, bellezza, serenità attraverso
l’impegno, la preparazione, la passione e la dedizione di chi la fa per
mestiere, per scelta, per necessità. Buona estate al popolo della scuola,
soprattutto a tutti quegli studenti a cui la scuola, da oggi, un po’ manca e
mancherà.