Due storie recenti, entrambe provenienti dal mondo dell’industria, danno speranza. Nell’azienda di un giovane imprenditore bergamasco i dipendenti leggono e commentano a turno un libro, con i colleghi, durante l’orario di lavoro e, per questa incombenza, il mese successivo ricevono il compenso in busta paga: 100 euro per il primo libro, 200 per il secondo, 300 per il terzo. Se il libro è in lingua inglese il compenso viene raddoppiato. L’amministratore delegato, promotore dell’idea, ha dichiarato che questa esperienza ha migliorato non solo il clima lavorativo ma anche il bilancio dell’azienda.
Uno stilista di successo, pochi giorni fa al piccolo teatro Strehler di Milano ha annunciato di creare nel cuore di un borgo sconosciuto dell’Umbria una biblioteca universale di 500.000 volumi nelle varie lingue, a partire dai classici antichi, relativi ai seguenti ambiti: filosofia, architettura, letteratura, poesia, artigianato. Un piccolo centro trasformato in un regno, con riferimento esplicito ai nomi degli imperatori Adriano e Alessandro Magno, due grandi cultori di libri, nella convinzione che il pensiero umanistico sia il vero sapere “duro”, quello che resiste ai cambiamenti : una sorta di hardware che fa girare e interpreta tutti i programmi specialistici.
Questo avviene nei giorni in cui i capi di governo tutti si affidano alle speranze luminose e alle utopie illuminate della tecnica e dirottano tutte le risorse del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR) in direzione delle discipline tecnologiche, riservando poche briciole ai saperi umanistici.
Ulteriore prova, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che certo mondo imprenditoriale ha antenne più sensibili e propositi più dinamici del mondo politico, rispetto al quale compie un’evidente opera di supplenza. Loro, i responsabili della cosa pubblica, ormai perseguono la rovinosa separazione del sapere dal potere, della politica dalla cultura; e, piuttosto che coltivare doverosamente la grande ambizione di incrementare la cultura del libro, preferiscono rispondere alla sirena narcisistica di scrivere in prima persona libri programmatici o addirittura autobiografici, il più delle volte, ahimè, senza averne letto nessuno.
Che Dio non li perdoni, perché sanno quel che fanno.
Tratto dal “Prologo” al libro di Ivano Dionigi “Benedetta Parola” Il Mulino - 2022