Nell’immaginare Comizi di Donne, sono partita da me e da questa condizione eternamente pandemica aggravata recentemente dalla guerra che ha amplificato un senso di precarietà ed impotenza, e mi sono chiesta “Cosa sta succedendo? Quali sono le criticità costanti e dimenticate da questi ripetuti stati di emergenza?”. Quindi, ho cercato una prassi che potesse essere coraggiosa (perché credo che abbiamo bisogno di scelte che cerchino cambiamenti) ma che generasse un’attenzione personale e allo stesso tempo politica, perché questi tempi ci hanno mostrato, mai come prima, che abbiamo bisogno di relazione e prossimità e, per questo motivo, la mia attenzione si è rivolta a Pier Paolo Pasolini e la sua incessante tensione sociale ed il suo impegno politico.
Il mondo e la nostra società sono senza dubbio diversi da quelle del ’64 in cui Pasolini girava “Comizi d’Amore” ma “Comizi di Donne”, fa la stessa scelta fondamentale che prescinde il tempo: annullare ogni forma di autorialità e rivolgere lo sguardo a quella parte della società, a quelle vite che sono fuori una narrazione ufficiale del contemporaneo. Se Pasolini scelse il tema dell’amore comune a tutti e quindi, particolarmente sensibile e capace di dare un quadro della società italiana in trasformazione, io sono andata oltre e non ho scelto un tema particolare, lasciando le 22 donne libere di parlare della loro vita e delle cose a cui tenevano, perché molto del quotidiano femminile è rimasto immutato, nonostante i cambiamenti sociali.
Mi continuo a stupire di come, anche in quest’anno di celebrazioni pasoliniane, si continui a parlare di centinaia di aspetti del suo lavoro ma non di questa scelta fondamentale di attenzione a quella che Braudel chiamava “storia profonda”, nella teoria della “longue durée”. Certo, all’epoca dello scrittore friulano l’attenzione era posta su quello che era il cd. “sub proletariato” messo ai margini dal mutamento neo liberistico che l’Italia stava vivendo.
Oggi, che i processi di sfruttamento sono trasversali e coinvolgono quasi tutte le classi, ho pensato che le donne potessero essere quella parte della società che necessita di questo tipo di attenzione, un’attenzione rivolta alla sfera minima in cui si realizza quella diseguaglianza a cui le donne sono costrette, e che le porta nella quotidianità ad affrontare sfide che l’uomo non ha: la cura della famiglia e la maternità in assenza di un welfare efficace, disparità di trattamento nell’accesso lavorativo, giudizio morale sociale ecc.
Comizi d Donne è una long film installation che offre un’esperienza di empatia e di riflessione personale e collettiva e che si domanda, cosa l’arte può essere quando pone le persone come protagoniste nel suo farsi e quando cerca le relazioni: ciascuno sceglie quanto tempo dedicargli e magari tornare, quello che conta è il tempo che si da e si vive in questa conversazione con le donne e le loro vite. Ci si può in parte identificare con le storie che si ascolteranno ed in parte no, ma è una installazione cha aspira ad un’attenzione emozionale e di presa di coscienza.
Io sono una donna di Napoli e quindi so bene che i problemi e le storie sono quelli che accomunano molte donne in Italia e nel mondo anche se, la vita di ciascuna di noirimane sempre profondamente unica.
Certo, ci sono peculiarità sociali ma nulla di determinante da renderle diverse da altre. Quello che è diverso è la storia di Napoli che mi ha offerto spunti di riflessioni.
Avendo lavorato all’estero ed avendo molte amiche non italiane, mi sono resa conto che la narrazione recente ha visto l’immaginario sulla donna e soprattutto sulla donna napoletana, plasmato molto sulle protagoniste delle storie di Elena Ferrante: si tratta di donne che combattono duramente in un mondo socialmente e culturalmente violento verso di loro dove, ma la necessaria drammatizzazione del testo, utile ai fini autoriali, lascia la dimensione femminile solo in un’aura di realtà che inevitabilmente diminuisce la vera portata drammatica della condizione femminile.
L’incontro con Cinzia Mastrodomenico e con alcune delle donne che sono state protagoniste di un’epoca di attivismo napoletano, mi ha dato nuovo spunto e fiducia che partendo dalla nostra vita sia possibile costruire condizioni migliori per una società più equa.
L’entusiasmo e la coerenza di una scelta sociale di persone come Cinzia, Susi o Luisa mi ha fatto riconciliare con un passato che, anche se non lo avevo vissuto in prima persona, era sempre stato molto problematico per me, perché lo leggevo nel presente e nella vita delle donne della mia età (ma anche più giovani) che, nonostante le tante conquiste, è ancora ingabbiato in una cultura patriarcale.
Credo che Napoli ed in particolare la figura di Lucia Mastrodomenico e la storia della Mensa dei Bambini Proletari, ci mostrano narrazioni alternative che possano dare intuizioni più che mai attuali e capaci di dare prospettive di cambiamento.
Se infatti oggi, nel terzo decennio degli anni 2000, è drammaticamente evidente che la rivoluzione culturale auspicata dai movimenti femministi dagli anni ’70 non si è realizzata (nonostante i grandi traguardi ottenuti e di cui tutte noi usufruiamo), queste esperienze ci mostrano che quando l’attivismo e la politica cerca risposte concrete ai bisogni quotidiani, la differenza è possibile, ed una rivoluzione non è impossibile. Infatti, se la Mensa fornendo pasti ed un modello educativo a centinaia di bambini, aiutava il quotidiano di moltissime donne divenendo un laboratorio di condivisione ed esperienze, Lucia Mastrodomenico rimarcava che il femminismo non poteva dimenticare le caratteristiche della soggettività femminile quali l’empatia, la relazionalità e persino la grazia.
Comizi di Donne chiede questa necessaria rivoluzione culturale e la chiede partendo dalle donne, dal loro ascolto e dalla presa di coscienza collettiva che una società non potrà mai essere democratica senza questa rivoluzione in nome delle donne, una rivoluzione in cui le donne possano essere presenti non assumendo e forgiando la propria personalità a modelli culturali altrui, ma evidenziandone le peculiarità soggettive legate al genere, come pure, riconoscendo e cercando soluzioni comuni a quel blocco sociale e culturale che le donne sono costantemente costrette ad affrontare. Si auspica un mondo in cui si è liberi di essere donne in tutti i suoi aspetti senza che questo comporti una doppia morale o difficoltà di accesso a carriere senza che questo comporti rinunciare o limitare la maternità oppure obblighi familiari che sono culturali e figli di una ostinata società patriarcale.
Il programma è iniziato in dicembre con una lettura critica de “Il Vangelo Secondo Matteo” di Pasolini che si è realizzata con la video installazione “I Testimoni e la Storia”: un percorso che ha cercato di aprire lo sguardo direzionandolo appunto verso coloro che si suppongono essere comparse e non protagonisti della storia, elemento particolarmente evidente in quest’opera dell’autore friulano, con il largo uso di primi piani verso i testimoni degli eventi di Cristo. Qui la folla, da essere un’entità indefinita si rivela con i suoi significati latenti: si personifica nell’attenzione, nello sguardo del singolo che allo stesso tempo “è parte di”, una storia che diventa così, personale e inevitabilmente politica.
Successivamente abbiamo contestualizzato in un ottica contemporanea questa scelta pasoliniana in un talk dal titolo “Pasolini, Grotowski e la rivoluzione narrativa” in cui insieme alla prof.ssa Maria Pia Pagani, docente di drammaturgia e storia del teatro orientale presso l’università “Federico II” abbiamo immaginato un parallelo fra questi due importanti autori del ‘900, che avevano, trovando differenti risposte, la stessa esigenza di eliminare le forme di autorialità per creare una relazione diretta e senza ruoli fra l’opera e le persone che ne diventavano autori e spettatori allo stesso tempo.
Quindi, seguendo l’esempio pasoliniano, è stata la volta dell’installazione sonora multicanale di Marco Messina “Nuova Repubblica Napoletana” in cui l’artista ha iniziato a dare voce alle donne, in una narrazione attraverso il tempo in cui fra canti popolari, esortazioni di teoriche del femminismo come con racconti personali si prendeva coscienza di questa storia sommersa al femminile.
L’ipogeo del Complesso, modificato nella sua percezione dall’architettura del suono fatto delle voci delle donne che in questi luoghi sono sempre state presenze invisibili così come lo sono nella società, quando si abbandonano le letture retoriche e paternalistiche del femminile.
L’ultima tappa è appunto la long film installation Comizi di Donne, un manifesto per questa Nuova Repubblica delle Donne che il lavoro di Messina annunciava e che, il 5 luglio scorso ha visto aprire con l’assemblea Comizi di Donne, un percorso di dibattito sul femminile a Napoli e oltre: infatti un’altra caratteristica importante di questo progetto è stato la conversazione instaurata sia con realtà istituzionali quali il Conservatorio San Pietro a Majella e l’Accademia di belle arti di Napoli, ma soprattutto con associazioni impegnate sul territorio quali quella “Madrigale per Lucia” onlus, “Amici di Carlo Fulvio Velardi” onlus e “Champion center la Scampia che vince”.
Grazie a tutte le donne ed all’incontro con l’ass. Madrigale per Lucia si è trattato di un viaggio personale e collettivo nell’oggi attraverso la storia. Un viaggio appena iniziato ma, motivato dal desiderio di capire cosa è possibile fare ora per realizzare nella prossimità le condizioni quella rivoluzione culturale mai avvenuta.
Maria Teresa Annarumma