L'UE propone di tassare gli extraprofitti delle imprese e delle fonti fossili per compensare il caro bollette
di Andrea Turco
(tratto da “Valigia Blu” del 8 settembre 2022)
Il 14 settembre, durante il discorso annuale sullo Stato dell'Unione Europea al Parlamento Europeo in riunione a Strasburgo, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha illustrato le proposte della Commissione per contrastare l’aumento del prezzo del gas e dell’energia elettrica. “Per superare la crisi energetica, l'Europa ha bisogno non solo di una soluzione rapida, ma di un cambiamento di paradigma, di un salto nel futuro”, ha dichiarato la presidente della Commissione.
L’obiettivo è raccogliere più di 140 miliardi di euro per proteggere i cittadini europei dall’impennata dei prezzi, attraverso un contributo di solidarietà a carico dei produttori di energia da combustibili fossili che hanno avuto profitti inattesi e scremando i ricavi dei generatori di energia a basso costo. La proposta punta a tassare il 33% degli extra-profitti delle imprese del petrolio, del gas, del carbone e della raffinazione a partire dall'anno fiscale 2022, con introiti previsti di 25 miliardi di euro in più all'anno. I governi nazionali dovrebbero invece fissare un tetto massimo di 180 euro per megawattora alle entrate generate dai fornitori di energia nucleare e rinnovabile. Questo, a sua volta, genererebbe un profitto in eccesso di circa 117 miliardi di euro all'anno che dovrebbe essere incanalato in sussidi per le famiglie e le imprese in difficoltà che devono far fronte all'impennata delle bollette energetiche. “In questi tempi, i profitti devono essere condivisi e destinati a coloro che ne hanno più bisogno”, ha aggiunto von der Leyen. Le proposte della Commissione dovranno essere approvate dagli Stati membri prima di diventare effettive.
Non è stata presa una decisione sull’ipotesi di fissare un tetto al prezzo del gas russo, anche se von der Leyen ha parlato di “una serie di misure che tengano conto della natura specifica dei nostri rapporti con i fornitori da quelli inaffidabili come la Russia a quelli affidabili come la Norvegia”.
Von der Leyen ha detto anche che l’UE sta lavorando per stabilire un prezzo di riferimento del gas “più rappresentativo” rispetto al Title Transfer Facility (TTF) olandese e per modificare i requisiti di garanzia nei mercati dell'energia in modo di aiutare le aziende in crisi di liquidità. Separatamente, l’UE sta pianificando una revisione più profonda del suo mercato dell'elettricità per disaccoppiare i prezzi dell'energia dall'impennata del costo del gas.
Infine, la Commissione ha proposto un obiettivo obbligatorio per i paesi di ridurre l'elettricità del 5% nelle ore di punta per evitare un inverno di blackout e razionamenti. I depositi di gas degli Stati membri sono pieni all’84%, un buon livello prima dell’inverno ma che potrebbe non essere sufficiente per affrontare tutta la stagione invernale.
“Le società energetiche stanno facendo grandissimi guadagni non previsti che sono completamente slegati dai loro costi o dai loro investimenti, mentre i clienti devono pagare bollette astronomiche”. Qualche mese fa sarebbe stato difficile immaginare che a pronunciare tali parole potesse essere la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen. E invece in una intervista rilasciata il 7 settembre a La Stampa (e ad altri giornali europei), anticipando i temi che saranno discussi nell’atteso Consiglio straordinario dei ministri dell’Energia che si terrà il 9 settembre a Bruxelles, Von Der Leyen si è spinta a definire la tassazione degli extraprofitti delle società energetiche come una necessità per “riportare un equilibrio sociale”. Poco lontana, insomma, da chi lo scorso aprile parlava di un provvedimento da perseguire per ottenere giustizia sociale. Insieme a ciò si prevede pure una sorta di contributo di solidarietà per le aziende fossili. "Ci aspettiamo - ha aggiunto Von Der Leyen - che il settore energetico acceleri la sua transizione verde, investendo nelle rinnovabili e contribuendo al risparmio d'energia".
Già a marzo, in realtà, la Commissione aveva inoltrato una "comunicazione” alle altre istituzioni europee in merito al RePowerEu, il piano con cui l’Europa mira a superare la dipendenza dai combustibili fossili provenienti dalla Russia. Qui ci interessa soprattutto un passaggio:
Gli Stati membri possono prendere in considerazione misure temporanee di carattere fiscale sui proventi straordinari. Secondo l'Agenzia internazionale per l'energia tali misure fiscali sui profitti elevati potrebbero rendere disponibili fino a 200 miliardi di euro nel 2022 per compensare parzialmente l'aumento delle bollette energetiche
Come si può notare, le formule erano abbastanza vaghe, proprio per lasciare un ampio margine di manovra ai singoli Stati membri. Che, infatti, si sono mossi in ordine sparso. Ora però l’UE sembra aver compreso che anche in questo caso è necessario uno sforzo comune. Questo perché, per farla breve, si sono avverati i timori più nefasti: la speculazione finanziaria in atto al mercato TTF di Amsterdam, dal quale poi si decidono i prezzi sui consumi finale del gas (e, nel caso italiano, dell’energia elettrica), non è soltanto una bolla - scoppiata l’anno scorso e acuita dalla guerra russa in Ucraina - ma è qualcosa di sistemico che andrà quantomeno ripensato. Ci sarà tempo per analizzare ciò che stabilirà l’Unione europea, dato che l’incontro di venerdì tra i 27 Stati membri si preannuncia difficile. D’altra parte, molto probabilmente, i dettagli verranno ufficializzati la prossima settimana. E, soprattutto, servirà altro tempo per capire l’entità e l’efficacia di una serie di provvedimenti molto complessi, dal price cap (il tetto al prezzo del gas, forse da attuare solo a quello russo) al sistema ETS (il sistema delle quote di emissione).
Quel che si può al momento fare è concentrarsi sulle singole misure che i governi dell’Unione hanno adottato in questo lasso temporale. Il caso degli extraprofitti in questo senso è particolarmente emblematico. Tra inciampi, propositi, mezzi passi indietro e critiche.
Italia
L’Italia arriva all’appuntamento di Praga nelle condizioni peggiori, con il governo Draghi che in in teoria dovrebbe occuparsi esclusivamente degli affari correnti, visto il voto imminente del 25 settembre. In realtà il ministro Roberto Cingolani, di cui si vocifera persino una possibile riconferma nel caso di vittoria del centrodestra, andrà a negoziare con i pieni poteri, per usare una formula molto cara ai partiti. Forte anche di due provvedimenti sugli extraprofitti, il decreto Aiuti e il decreto Aiuti Bis, che hanno previsto una tassazione per le società energetiche prima al 10% e poi al 25%, mentre è allo studio, secondo il Corriere, un ulteriore aumento dell’aliquota “fino al 40-50% in modo da recuperare qualche soldo in più”. È importante a questo punto capire come funziona il prelievo fiscale voluto dall’Italia, specie perché gli inciampi del nostro paese, che vedremo a breve, potrebbero fungere da modello di studio per l’Europa.
Lo spiega bene Il Post:
Il contributo straordinario contro il caro bollette, a carico di produttori, importatori e rivenditori di energia elettrica, di gas e di prodotti petroliferi, è calcolato sull’incremento del saldo fra operazioni attive e passive rispetto all’ultimo anno. Il periodo considerato è quello fra il 1° ottobre 2021 e il 30 aprile 2022: si confrontano i dati con quelli dello stesso periodo dell’anno precedente e si ottiene così un aumento, che rappresenterebbe la quota di extraprofitti.Se questo è superiore al 10 per cento del totale, o comunque maggiore di 5 milioni di euro, si deve un tributo del 25 per cento sulla cifra. La quota così calcolata va pagata in due parti. L’acconto, pari al 40 per cento, andava saldato entro fine giugno, e il restante 60 per cento a fine novembre.
Finora però l’esito dei due decreti è stato molto inferiore alle attese e anche testate giornalistiche vicine al governo, come Il Foglio, hanno parlato di flop: si attendevano oltre 10 miliardi di euro, ne è arrivato appena un decimo. Una spiegazione arriva dal liberista Istituto Bruno Leoni:
Alla scadenza dell’acconto (30 giugno) si è scoperto che il gettito dell’imposta è stato molto inferiore ai quasi 11 miliardi preventivati: poco più di un miliardo. Questo è dovuto probabilmente a una sovrastima iniziale, ma anche – e forse soprattutto – alla scelta di molte imprese di non versare l’imposta nell’attesa dell’esito dei ricorsi, nella convinzione che il balzello finirà per essere giudicato incostituzionale. Ecco allora che il governo è intervenuto nuovamente. Chi non regolarizza la propria posizione adesso, e non versa integralmente il saldo entro il 30 novembre, verrà venire meno i principali istituti di garanzia e anzi sarà soggetto a sanzioni eccezionali. Infatti, il decreto aiuti-bis esclude gli strumenti di agevolazione connessi ai ritardati pagamenti quali il ravvedimento operoso e anzi raddoppia la sanzione ordinaria, dal 30 al 60 per cento.
Inoltre Altreconomia fa notare che sugli extraprofitti bisogna fare attenzione perché:
Il problema nasce dal fatto che questi non sono facili da calcolare viste le normative sui bilanci delle società energetiche e data la mole di strumenti contabili creati nel tempo per rendere meno chiara la loro lettura. Non a caso le società energetiche hanno già fatto ricorso contro la tassazione e soprattutto hanno versato pochissimo, meno del 20% del valore dell’imposta stessa. Non trascurerei il fatto che le normative hanno consentito l’ingresso nelle società energetiche - strategiche per un Paese - dei grandi fondi speculativi, certo poco propensi a pagare imposte.
E dire che in un primo momento il premier Mario Draghi se l’era presa con le aziende energetiche, palesando l’elusione fiscale. Anche se la sensazione generale è che le norme siano state scritte male. Scrive ad esempio Open che sono tanti gli argomenti giuridici e fiscali sollevati dalle aziende inadempienti:
Come quello della scelta del differenziale Iva per la valutazione degli extraprofitti. La scelta della variazione della cifra imponibile su cui si paga l’imposta sul valore aggiunto è un principio sbagliato, secondo le aziende, perché ci sono altre variabili che possono influenzare quel numero. Come per esempio l’incremento delle quote di mercato. Un altro argomento è che l’aumento derivava anche dal calo dovuto al lockdown, quando consumi e prezzi erano più bassi del normale.
A un quadro già complesso va aggiunta la considerazione che in Italia sono 11mila le aziende che dovrebbero versare il contributo, tante quante sono le società che producono, estraggono, vendono, commerciano, distribuiscono elettricità, gas e petrolio. La parte del leone la fanno ovviamente i colossi energetici, ancor di più quelli a partecipazione statale. Se Enel, attraverso l’amministratore delegato Francesco Starace, dichiara di aver versato 50 milioni di euro e di doverne aggiungere altri 20 per arrivare al totale di 70 milioni di euro, addirittura ENI, dopo aver chiesto un parere all’Agenzia delle Entrate, ha calcolato di dover versare 1,4 miliardi di euro e di aver finora restituito 560 milioni di euro. Non è da sottovalutare infine la pioggia di ricorsi che le aziende energetiche hanno scatenato contro i provvedimenti del governo Draghi. A preoccupare maggiormente è il ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio promosso da una ventina di società - tra le quali ci sono nomi importanti come Kuwait Petroleum (Q8),Ip, Exxon Mobile, Engie Italia spa e anche Acea, la municipalizzata di Roma, la cui scelta ha messo in imbarazzo il sindaco di Roma (ed ex ministro) Roberto Gualtieri. Il Tar dovrebbe pronunciarsi l’8 novembre sulla costituzionalità del provvedimento, con il rischio di un possibile rinvio alla Corte e un’ulteriore dilatazione dei tempi.
Quel che appare chiaro è che le aziende energetiche non molleranno tanto facilmente la presa e, affinché gli Stati possano prevalere e ottenere notevoli quote da redistribuire alle persone e alle aziende in difficoltà, serve essere inattaccabili. Anche perché all’orizzonte in Italia ci sono proteste di piazza e diserzioni contro il caro bollette. E non basterà certamente qualche “rimedio della nonna” come quelli suggeriti dal ministero della Transizione Ecologica e pomposamente denominato “Piano nazionale di contenimento dei consumi di gas naturale”.
Germania
Più dell’Italia, però, lo Stato sotto osservazione è la Germania. Non solo per via del suo ruolo cruciale all’interno dell’UE ma anche perché è il paese più dipendente dal gas russo: nel 2021 ha rappresentato il 55% delle importazioni tedesche di gas e, se consideriamo che dal gas la Germania ricava un quarto dell’energia che consuma ogni anno, si comprende bene quanto siano fondamentali le politiche energetiche che il governo retto dal cancelliere Olaf Scholz sarà in grado di attuare. Negli scorsi giorni il governo ha approvato un piano molto ambizioso: l’obiettivo è di mettere a disposizione ben 65 miliardi di euro (in un anno i vari interventi del governo Draghi per calmierare le bollette sono costati circa 50 miliardi) per aiutare le famiglie in vista dell’inverno in cui sono attesi ulteriori rincari. A finanziare questa enorme mole di risorse sarà anche la tassa sugli extraprofitti. In Germania il dibattito sugli incassi stratosferici delle società energetiche ha infiammato l’estate appena trascorsa. Come rende noto Wdr, l’emittente radiotelevisiva con sede a Colonia, “ad aprire il dibattito in Germania sono stati quattro Länder presentando una proposta in tal senso al Bundesrat, la Camera delle regioni: Brema, Berlino, Meclemburgo-Pomerania Anteriore e Turingia”. Così, mentre in Italia a luglio l’utile netto di 7,398 miliardi di euro conseguito da ENI nel primo semestre 2022 aveva creato molte polemiche, in Germania le iniquità di sistema apparivano molto simili:
Mentre molti cittadini hanno subito e subiscono le conseguenze della guerra in Ucraina a causa dell'inflazione, solo nel primo trimestre di quest'anno, le maggiori compagnie energetiche (Shell, BP, Exxon e Total) hanno più che raddoppiato il loro utile netto e, su base annua, sono passate da circa 15 miliardi di dollari a circa 34 miliardi. I promotori di questa iniziativa tedesca parlano esplicitamente di profitti extra generati dalla guerra rispetto ai guadagni dell'anno precedente e l'obiettivo è quello di imporre una tassa per l'anno 2022 proprio sui profitti eccedenti. I promotori di questa iniziativa citano anche il fondo monetario internazionale, secondo il quale ogni anno le aziende energetiche tedesche ottengono dallo stato 70 miliardi di euro sotto forma di sussidi per i combustibili fossili senza i quali non sopravviverebbero. Le entrate di questa tassa dovrebbero finanziare aiuti statali per affrontare l’inflazione.
Di fronte a ciò, il governo tedesco ha deciso di agire nella maniera finora più decisa tra tutti gli Stati dell’Unione europea. Scrive il Financial Times:
Parlando domenica a Berlino, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha affermato che il governo imporrà un tetto ai profitti dei produttori di energia che generano elettricità dall'energia eolica, solare, biomassa, carbone e nucleare anziché dal gas. Tali società realizzavano profitti “eccessivi” perché il prezzo di mercato dell'elettricità era determinato dal prezzo del gas. Il ricavato della tassa andrebbe verso un "freno sui prezzi dell'elettricità", consentendo alle famiglie private di godere di un volume di base di elettricità a prezzi ridotti, ha aggiunto.
Secondo quanto riportato da Huffington Post , Scholz “si è detto pronto anche ad agire a livello nazionale, se la misura non dovesse essere attuata in Europa”. Con o senza l’Unione Europea, insomma, la Germania andrà avanti sulla strada della tassazione degli extraprofitti delle società energetiche. Sarà la linea tedesca a prevalere?
Spagna
La prima nazione che ha agito sugli extraprofitti è la Spagna, il vero punto di riferimento di tutti gli Stati che hanno deciso di imitarla. Già a settembre 2021 il governo presieduto dal socialista Pedro Sanchez ha varato un pacchetto di otto misure, definite shock, con lo scopo di mantenere nel 2021 il costo della bolletta elettrica allo stesso livello del 2018. Come spiega ancora il Financial Times:
Madrid ha affermato di puntare a 2,6 miliardi di euro di "profitti in eccesso" dalle società che non utilizzano il gas, ma hanno beneficiato del modo in cui l'aumento dei prezzi del gas ha spinto i prezzi dell'elettricità a salire. Ciò fa seguito a un'iniziativa simile, annunciata a luglio, per recuperare circa 650 milioni di euro dalle società energetiche le cui entrate sono aumentate a causa dell'aumento del costo del carbonio. Il governo afferma che utilizzerà i fondi per pagare gli oneri infrastrutturali che altrimenti non sarebbero andati a buon fine per i consumatori, riducendo così le bollette della famiglia. Sánchez ha anche affermato che le tasse sui consumatori sull'elettricità saranno ridotte di 1,4 miliardi di euro fino alla fine di quest'anno.
Il governo spagnolo - come ribadito anche in occasione della cosiddetta “eccezione iberica”, vale a dire il tetto ufficiale del prezzo del gas da parte di Spagna e Portogallo - ha sempre ribadito che si tratta comunque di misure straordinarie ed estemporanee, non destinate a durare. Intanto lo scorso luglio il primo ministro ha rilanciato l’idea della tassazione sugli extraprofitti, estendendola dalle società energetiche anche alle banche, almeno per gli anni 2023-2024, con l’obiettivo di raccogliere oltre 7 miliardi di euro in due anni. Segnala Valori:
Questa imposta, “temporanea ed eccezionale” nel caso delle banche, sarà rivolta alle entità con entrate superiori a 1 miliardo di euro. E colpirebbe le dieci principali banche spagnole: Santander, BBVA, CaixaBank, Sabadell, Bankinter, Unicaja, Abanca, Kutxabank e Cajamar.
Come era facile immaginare, alla borsa di Madrid il giorno dopo l’annuncio si è registrato un tonfo dei titoli relativi alle banche. Il governo però va avanti. Con Sánchez che, da una parte, ha buon gioco ad accusare i partiti di destra di essere “manovrati” dalle società energetiche; dall’altra, parla di “misure di buon senso a beneficio della maggioranza”. Trasformando semanticamente provvedimenti di equità e redistribuzione, parole cara alla sinistra, in una locuzione dalla vaghezza semantica accentuata, utile a far digerire ciò che altrimenti sarebbe respinto.
Gli altri
Che la tassazione sugli extraprofitti non debba necessariamente essere un provvedimento di sinistra, d’altra parte, lo aveva già insegnato l’Ungheria. A giugno, infatti, il governo guidato da Viktor Orbán ha varato una misura ancora più ampia di quella spagnola. Dalle banche alle assicurazioni fino all’energia, alle telecomunicazioni e al settore aereo: approfittando della dichiarazione dello “stato di emergenza”, il primo ministro ha introdotto un prelievo forzoso che si è rovesciato su parecchie multinazionali, anche italiane, che operano sul territorio magiaro. Se rimaniamo nell’Est Europa, anche la Romania ha introdotto una tassazione sugli extraprofitti, così come ha fatto anche la Grecia.
Delicata poi è la posizione della Francia, date (anche) le difficoltà nella produzione di energia nucleare: nel paese, che produce oltre la metà dell’elettricità dell’Europa derivante dall’atomo, la metà dei 56 reattori è fuori uso, di cui 12 per corrosione. In più, come scrive Libération:
La produzione nucleare di EDF è già a un livello storicamente basso, il che ha contribuito a un aumento senza precedenti dei prezzi all'ingrosso dell'elettricità. Il prezzo dell'elettricità in Francia è in aumento da diversi mesi, battendo alcuni record storici: giovedì ha raggiunto i 900 euro per megawattora, contro i (meno di) 100 euro di un anno fa, e (meno di) 50 euro ordinariamente negli anni precedenti.
Una situazione talmente grave che, unico caso in tutta Europa, la prima ministra Elisabeth Borne ha ammesso che la Francia deve prepararsi al razionamento di gas per le imprese, mentre pochi giorni prima il presidente Emmanuel Macron aveva evocato tempi duri e la fine “dell’era dell’abbondanza e della spensieratezza”. Sulle soluzioni, però, le due più importanti figure istituzionali transalpine non sembrano concordare.
La premier Elisabeth Borne dice che sta pensando alla possibilità di una tassazione nazionale sugli extraprofitti, aggiungendo di considerare più efficace l'ipotesi che le imprese abbassino i prezzi ai consumatori e così aumentino il loro potere d'acquisto, mentre il presidente Emmanuel Macron opta per “un meccanismo di contribuzione europea”.
Tra i paesi che non fanno parte dell’Unione Europea ma che possono influire sulle sue politiche, infine, non si può non citare la Gran Bretagna. Dopo essersi rifiutato per mesi di imporre una tassa straordinaria sui profitti del settore energia per il timore che avrebbe inviato un segnale negativo alle imprese, portando a una riduzione degli investimenti, lo scorso maggio il governo conservatore ha cambiato idea e ha annunciato la nuova misura, con un’aliquota del 25%, che contribuirà a garantire 5 miliardi di sterline, vale a dire un terzo dell’intero pacchetto di sostegno a famiglie e imprese. Alla tassa il governo ha comunque abbinato sgravi fiscali del 90% per le imprese che investono nel settore fossile in Gran Bretagna. Una notizia riportata da Bloomberg potrebbe ulteriormente scompaginare la situazione:
I produttori di gas e i produttori di elettricità del Regno Unito potrebbero realizzare profitti in eccesso per un totale di 170 miliardi di sterline nei prossimi due anni, secondo le stime del Tesoro che mettono a nudo il potenziale di aumento delle entrate di una tassa inaspettata (...) È probabile che la previsione alimenterà ulteriori richieste di aumentare la tassa sui guadagni inaspettati per quel che riguarda la produzione di petrolio e gas nel Regno Unito e di estenderla ai generatori di energia che finora sono stati esentati. L'imposta all'attuale aliquota del 25% potrebbe generare decine di miliardi di sterline se gli utili in eccesso per il 2023 e il 2024 si collocassero in cima alle previsioni del Tesoro.
Da più parti si è detto che tra le conseguenze del Covid si registra, a livello politico, il ritorno dello Stato. La crisi energetica che stiamo vivendo, e in particolare il caso della tassazione degli extraprofitti, farà comprendere se si è trattato di un fenomeno passeggero, nel caso in cui i governi non dovessero riuscire a ricevere le aliquote attese da parte di aziende che molto spesso sono potentissime multinazionali, o di un cambio strutturale, destinato a modificare rapporti di forza e orizzonti futuri. Potrebbe essere questa l’eredità più significativa di questi tempi così difficili.