Con il “ Perché ci si alza la mattina?” , dubbio di Rocco Ronchi, nel suo commento al libro di Ernst Bloch “Speranza ed Utopia”, abbiamo chiuso le pubblicazioni del 2022. “Ci sono delle buone ragioni per sperare? Oppure, detto più prosaicamente ma anche in modo maledettamente più concreto, “perché ci si alza la mattina?”esordisce Ronchi. Suggestiva la lettura di Bloch, il filosofo dell’Utopia e della Speranza che ha attraversato tutto il novecento.
Anche il primo pezzo che pubblichiamo nel 2023 è tratto da “Doppiozero.com”; è di Annalisa Ambrosio, sul libro “Tutto sull’amore”, di bell hooks, pseudonimo della scrittrice statunitense Gloria Jean Watkins (1952-2021). Lo pseudonimo, che secondo la scrittrice, va riportato in minuscolo, deriva da quello della bisnonna materna. Si deve a Maria Nadotti saggista e traduttrice, la conoscenza in Italia di bell hooks.
Grazie a bell hooks e alla Nadotti, cominciamo il 2023 riflettendo sull’amore. Che sia di buon auspicio per un anno di pace. (La Redazione)
bell hooks. Tutto sull’amore
di Annalisa Ambrosio
Tratto da doppio zero.com del 28 Dicembre 2022
Dopo vent’anni il libro di bell hooks Tutto sull’amore esce di nuovo in Italia, questa volta per Il Saggiatore, tradotto da Maria Nadotti. Il titolo è impegnativo e coraggioso, considerando che l’autrice inizia la sua cavalcata nelle terre di amore proprio dicendo che nessuno più se ne occupa, se non la cultura pop, in particolare la canzone. Gli altri – soprattutto i giovani, qualunque mestiere facciano – hanno maturato un crescente cinismo nei confronti della materia e della pratica di amare.
È questa la prima delle ragioni per cui bell hooks ha deciso di rompere il silenzio, per riportare al centro del discorso uno degli unici argomenti che ha senso di essere dibattuto, se è vero quanto è vero (sono le indimostrabili ragioni del cuore che la ragione non conosce) che, per quanto non se ne parli seriamente, l’amore continua a essere al centro delle nostre vite. Dunque, fare finta di non vederlo è assurdo.
La seconda ragione per cui l’autrice si spinge a trattare l’amore si può sfilare dalle poche pagine finali che accompagnano il testo, a cura della traduttrice: “questo mio piccolo trattato sull’amore intende rompere ogni schema e opporsi all’insidioso ‘specialismo’ che vorrebbe noi neri competenti solo nelle materie che ‘ci riguardano’ da vicino e che, guarda caso, da molti secoli non siamo noi a definire”, l’ha confessato a Nadotti bell hooks stessa, durante la stesura del saggio. Ed ecco il primo effetto concreto e misurabile di amore, che è già visibile in questo scambio: una rottura del margine, della barriera, della divisione, un riportare tutto insieme, indiviso – come può e come deve stare.
La terza ragione è che a parlare di amore, a detta di bell hooks, sono stati in gran parte filosofi uomini, ma se gli interpreti uomini storicamente si sono concentrati sull’esperienza del ricevere amore, lei crede che le donne possano dare con più facilità la testimonianza di che significa invece offrire la cura.
È come se l’intero edificio del libro e il discorso che bell hooks conduce tra l’inizio e la fine di queste 207 pagine si appoggiasse su una sola pietra. E la pietra è una definizione piuttosto insolita di amore che viene da un manuale di auto-aiuto dello psichiatra americano M. Scott Peck, Voglia di bene, uscito nel 1978: l’amore qui è «la volontà di estendere il proprio sé al fine di favorire la crescita spirituale propria oppure di un’altra persona». Si è detto che la definizione è piuttosto insolita, e lo è intanto perché non contempla in nessun modo la sfera carnale e passionale, ma poi perché sembra essere in contrasto con l’idea preconcetta che l’amore sia una spinta altruistica e basta. Come se altruismo ed egoismo non fossero due lati della stessa medaglia.
La definizione di Peck è interessante proprio per il fatto che è dialettica: l’amore di cui parla fa venire meno la distinzione tra ciò che amando facciamo per noi e ciò che amando facciamo per gli altri. L’amore è innanzitutto qualcosa che produce un risultato dentro di sé, che apre. Ma una simile «estensione del sé» ha un fine particolare, che distingue l’atto di amare da moltissimi altri la cui definizione potrebbe iniziare nello stesso modo: nell’amore l’allargamento del sé ha un fine nuovo e buono, che è la crescita spirituale, propria o altrui.
Si cresce spiritualmente quando si è in grado di pensare agli altri e al mondo come un organismo unico di cui facciamo parte tutti insieme. Nelle parole dello psichiatra “io” e “noi” si rincorrono e si mescolano, la spiritualità è l’elemento che a un tempo sigilla e spalanca la definizione.
Queste due frasi estratte da Peck si incontrano all’inizio, ma torneranno più e più volte nel libro, spesso in forma di citazione, andando a costruire una specie di lieve reticolo, un pattern diffuso che dà compattezza al saggio. Non solo. È una forma di amore, questa, che non include solamente l’amore coniugale o l’amore erotico, ma anche quello fraterno, l’amore amicale, l’amore verso gli sconosciuti o i conoscenti, qualsiasi disposizione a dare che produca in noi un contraccolpo positivo, un ampliamento. Allo stesso tempo, mentre esclude qualsiasi forma di dominio o di violenza, un simile amore abbraccia invece la sofferenza e la fatica – ed è un punto che bell hooks non si esime dal trattare.
Se la definizione di amore di Peck è la prima pietra di costruzione di Tutto sull’amore, un altro presupposto fondamentale del libro è che la società di oggi non fa niente per incoraggiare un’etica dell’amore. Il motivo per cui se ne parla così poco è che l’amore è sempre una «forza trasformativa» che destabilizza la società e le sue regole.
Non a caso, gli ultimi a prendere sul serio l’amore sono stati i movimenti giovanili degli anni Sessanta e Settanta, poi più niente: al culto dell’amore è stata sostituita un’attrazione doppia, per la morte e per l’avidità. È la cultura patriarcale che l’ha preferita, ed è stata poi rinfocolata dalla scelta del modo di produzione capitalistico, quindi dal consumismo, e dalla sua morale edonistica. Il triangolo è noto, ma a essere abbastanza inedita è l’idea precisa che morte e avidità siano contro-valori diffusi che stanno in coppia, e che insieme costituiscano un diserbante fatale per la giustizia sociale e per la diffusione di un amore vero e autentico.
Nel libro di bell hooks si affastellano vari esempi del connubio tra morte e avidità. Tra i più scottanti ce ne sono due, che l’autrice racconta con un ritmo molto particolare e narrativo, spogliando la cronaca dei nomi e mostrando solo la dinamica che si ripete uguale nel tempo, per fatti accaduti in posti e in momenti diversi. Il primo riguarda un uomo di potere – il riferimento è a Bill Clinton – che per perseguire il piacere dei sensi rischia di perdere credibilità pubblica e di mandare all’aria il suo impegno familiare. Sembra che la sua sia una cupidigia sfrenata e che la povera ragazza con cui si accoppia sia la vittima, ma poi «la giovane donna coinvolta nella faccenda manipola fatti e dettagli e finisce per prostituirsi vendendo la propria storia al fine di ricavarne un utile materiale». Ecco una doppia negazione di amore: la smania di possedere porta in vista il sentimento contrario, l’assenza di vita, aridità ed egoismo.
Il secondo esempio arriva svariate pagine più avanti e riguarda il classico padrone di casa nordamericano che per difendersi dalla rapina a mano armata di un extracomunitario imbraccia il suo fucile da comodino e gli spara. La morte del ladro viene in qualche modo legittimata da un sistema informativo che tende a celebrare il padrone, a farci identificare sempre e comunque in chi ci assomiglia di più, a discapito del diverso. Avidità e morte qui vanno palesemente a braccetto, sono una la prosecuzione dell’altra.
Per bell hooks il mondo sarebbe completamente diverso se si desse più spazio al sentimento amoroso, se anziché negarlo lo si incoraggiasse. E la negazione ha in buona parte a che fare con l’idea che l’amore sia un imprevisto positivo, una cosa che capita e che non si può cercare. Viceversa, per l’autrice l’amore è una scelta, certo una scelta che può essere resa più semplice o più immediata da alcune circostanze esterne, ma pur sempre una scelta. A fare il paio con questa teoria c’è l’idea – idea che incardina l’opera di Eva Illouz, un’altra grandissima studiosa del fenomeno amoroso (mi riferisco in particolare a Why Love Hurts, 2013) – che noi individui contemporanei siamo poco preparati e disposti a soffrire per amore. Non concependo l’amore come un fatto deciso e stabilito, come qualcosa che siamo i primi a voler perseguire, come un impegno duraturo nel tempo, che richiede lealtà, trasparenza, senso critico, lavoro, al primo segnale di sofferenza, al primo dolore, tendiamo a spaventarci, a pensare che: “se ci fa soffrire non è amore”, e a voltare pagina. Ma la «crescita del sé» per quanto positiva e soddisfacente non è mai indolore, così come non è indolore ciascun cambiamento: ogni volta che la coperta della nostra personalità muta, per restringersi, allargarsi, o modificare la sua forma, noi sentiamo queste trasformazioni, spesso in forma di disagi, o di ferite. Questi dolori non si possono sfilare dal fenomeno amoroso, ne sono semplicemente parte.
Per bell hooks la maniera asfittica e cinica in cui rischiamo di vedere ogni giorno la pratica di amare ha molto a che fare con il primato assoluto dell’amore erotico e della famiglia nucleare.
La maggior parte degli individui nella nostra società sono legati all’idea che l’amore con il partner debba avere la precedenza sui rapporti con gli amici e in questo modo il sé ne risulta indebolito: perché coniugare insieme i vari amori della propria vita significa riuscire a tenerli insieme, a non rinunciare, a ritagliarsi lo spazio per tutti. Allo stesso modo l’autrice ritiene che a un concetto troppo rigido di famiglia nucleare composta dai genitori biologici e i figli, per creare una società più disposta ad amare, andrebbe sostituita la «comunità», come luogo di relazioni molteplici e stabili, inclusive, come collezione di amori che si incoraggiano a vicenda e, infine, come cornice in cui stare al riparo della solitudine.
È un libro in cui si parla spesso di bambini – e la disquisizione è a tratti commovente, perché l’autrice dice che tutti i bambini sono naturalmente ben disposti a dare e ricevere amore, ma purtroppo molti adulti non sono guide positive per intraprendere questa strada. A volte insegnare il silenzio, il ringraziamento, mostrare a un bambino il sollievo che può dare una stanza ordinata dopo aver tanto giocato sono modi efficaci per insegnare a fare i conti con il proprio sé e con la sua amorosa crescita.
Il libro è diviso in capitoli piuttosto brevi – una decina di pagine ciascuno –, e ognuno si apre con una parola cardine: chiarezza, giustizia, onestà, impegno, spiritualità, valori, avidità, comunità, reciprocità, idillio, perdita, guarigione, destino. Se non tutto, è quasi tutto sull’amore. Nonostante sia brillante e analitica, la trattazione di bell hooks è davvero fluida, d’altra parte qui la sua intelligenza maestosa e versatile è messa al servizio del tema più semplice che c’è. Ma è noto che non esiste rompicapo più grande della semplicità.