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Goliarda Sapienza a Palmarola


Tratto da “Ponza Racconta”  del 25 gennaio 2023





















La ponzite è una malattia? Di certo è una passione che ha le sue radici nell’infanzia e nella nostra identità isolana. Una infatuazione che si manifesta ancora più violentemente quando ne siamo lontani. Quando siamo a Ponza, viviamo quasi estraniandocene, se invece ne siamo distanti ci appare unica, bellissima e irrinunciabile, bastando un piccolo indizio per farla riverberare. Che sia una notizia di cronaca o una storia piluccata in un libro, il nostro cuore sussulta.

E’ quello che è mi successo ancora una volta quando ho letto il libro “Goliarda” di Angelo Pellegrino, (Einaudi, 2022), dedicato alla grande scrittrice di origine siciliana, della quale è stato marito nella ultima parte della sua vita. Noi isolani sapevamo già di questo scrittore e attore, da quando almeno pubblicò nel 1977 con i disegni di Ruggiero di Lollo “Il segreto di Palmarola”, una visione onirica “dell’isola più bella del mondo”, facendone un ritratto suggestivo e fantasmagorico che rimane nella memoria.

In questo nuovo libro Pellegrino racconta il suo menage sentimentale e culturale che condivise con Goliarda Sapienza, una delle scrittrici più tormentate, profonde, complesse e sfortunate del secolo scorso, morta improvvisamente a Gaeta nel 1996 e nel cui cimitero oggi riposa.

La coppia un po’ anarchica, tra l’altro la loro differenza di età di oltre vent’anni non poteva passare inosservata, lui poco più che ventenne, decise di fissare a Gaeta il buen retiro in cui raccogliersi e scrivere, dove arrivavano appena possibile, fuggendo da Roma. Nonostante la perenne penuria di cui la coppia soffriva, nell’antica città borbonica Goliarda riusciva a concentrarsi e a lavorare con intensità, forse perché le ricordava la nativa Catania, “nutrendosi di caffè e sigarette”.

Spirito libero, si era dedicata fino ad allora a tematiche, in forte anticipo sui tempi, come la situazione carceraria, esperienza che sperimentò personalmente per un paio di mesi, dopo essere stata condannata per un furto di gioielli. A quella breve permanenza si deve un suo illuminante squarcio su un mondo in gran parte ignoto al gran pubblico, scrivendo “L’università di Rebibbia”.

A Gaeta furono anni fecondi per Goliarda che qui completò la sua opera più significativa, “L’Arte della gioia”, che gode da anni di un indiscusso successo internazionale, presentatosi purtroppo solo dopo la sua morte.

Nel golfo di Gaeta la coppia aveva luoghi prediletti e fuori dal mondo – racconta Pellegrino – dove vivevano ore preziose di esaltazione panica, che permetteva di ricaricare le batterie. La coppia, ormai assai nota agli abitanti della città, con molti dei quali avevano allacciato rapporti di simpatia e di amicizia, di tanto in tanto si spostava anche nelle vicine cittadine e alle vicine isole ponziane. Pellegrino ricorda quella lontana vacanza del 1977, in questa accorata lettera d’amore alla sua Iuzza, come la chiamava, lo stesso vezzeggiativo usato dalla famiglia originaria.

Questa la pagina che tanto mi ha emozionato e che ritorna al libro dello stesso Pellegrino.

“Se è vero che esistono felicità maggiori e minori, e le maggiori sono offerte agli uomini da arte, natura, amore (intendilo, lettore, come t’aggrada), a Palmarola, nell’estate del 1977, a me gli dei o chi per loro (anche qui lettore, fai tu) quelle felicità le offrirono tutte insieme. Però è meglio non aspirare troppo, o per troppo tempo, alle felicità maggiori, hanno un prezzo alto, come sa bene chi le ha conosciute. Sono dee grandi e tremende, nel senso che fanno proprio tremare, e in cambio vogliono indietro sempre qualcosa che pochi sono in grado di pagare. Le felicità minori invece non si pagano mai, e all’improvviso, con il passare del tempo, la loro somma diventa nel ricordo una felicità maggiore ma senza il terribile contrappasso.

C’è una foto, sempre a proposito di foto, fatto dal nostro amico pittore, che ci ritrae insieme in quest’isola. Ora sono rimasto l’unico a sapere che cosa esprime. Forse un po’, ma solo un po’, può saperlo anche il nostro amico pittore, che è ancora vivo, a lui spesso m’aggrappo con forza; eppure è pubblicata su numerosi libri, una foto mal riuscita, sfocata e scura. Qualcuno dirà che sto affermando semplicemente che tutto passa, la cosa più nota del mondo. Ma anche se tutto passa non significa che non ci sia stato, e voglio pensare che lì, a Palmarola, forse è rimasta ancora un po’ di quella nostra felicità”.

Non è necessario aggiungere altro.


 Giuseppe Mazzella