tratto da "Avvenire" del 12 febbraio 2023
La vista nei bambini appena nati è sfocata.
Il
cristallino dei nostri occhi non mette ancora a fuoco, e la retina non è del
tutto ben sviluppata.
Un neonato vede il mondo opaco, senza colori, addensato
in figure e forme fluttuanti.
Sia le cose, sia le tonalità della loro
pigmentazione, gli diventano pienamente e davvero visibili solo al secondo mese
di vita, non prima.
La comprensione neuronale degli oggetti visti, ovvero
l’azione esercitata dal cervello sulle immagini osservate, quella anche in
questa fase è del tutto embrionale, compensata da un’altra, percettiva e
sinestetica, dove tatto, udito e odorato lavorano a uno stadio più avanzato
rispetto a quello del vedere.
Bisogna raggiungere il decimo mese di vita per
possedere una vista perfetta, completa dei dieci decimi necessari a un grado
completo di osservazione.
Che qualcosa dell’opacità e vaghezza iniziali resti
depositato in una nostra memoria inconscia?
Che vi sia traccia mnestica
inconsapevole, di quella dolce nebbia in cui visi e oggetti hanno fluttuato
nella primissima parte della nostra vita?
Bello immaginare che stessa vaghezza
circonfonda di soave sfocatura la vigile lucidità che segue, temporaneamente e
in modo intermittente raddolcendo i netti, duri tratti che saranno della realtà
per tutto il tempo a seguire.
Lisa Ginzburg