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Le parole che curano

 
Già nell’antichità il malessere fisico e quello psicologico erano ben distinti e ad essi erano associate due differenti soluzioni di attenuazione: il patimento fisico, infatti, era trattato attraverso i farmaci e le cure mediche mentre il patimento psicologico, interiore o dell’anima, era curato attraverso i discorsi.
Sullo sviluppo della medicina antica sono state scritte innumerevoli e dettagliate pagine. Di due autori greci di epoca classica ci sono pervenute interessanti riflessioni sulla cura attraverso i discorsi: si tratta dei sofisti Antifonte e Gorgia.
Antifonte è un presocratico a tutti gli effetti, un uomo molto istruito interessato a tanti ambiti dello scibile tra cui trova posto anche il tema della cura della sofferenza e del patimento psicologico.
Anche in Gorgia il discorso ha la capacità di curare. Nell’Encomio di Elena, al paragrafo 8, afferma infatti: “Il discorso è un gran signore, che con un corpo molto piccolo e del tutto invisibile compie le azioni più divine: può infatti far cessare la paura ed eliminare il dolore e infondere la gioia e accrescere la pietà.
Gorgia di Lentini chiarisce ulteriormente il potere del discorso quando afferma: “Tra la potenza del discorso e la disposizione dell’anima c’è lo stesso rapporto che c’è tra la disposizione dei farmaci e la natura del corpo. Come, infatti, tra i farmaci, alcuni espellono dal corpo degli umori e alcuni altri umori, e come gli uni fanno cessare la malattia, gli altri la vita, così anche i discorsi: alcuni affliggono, altri rallegrano, altri spaventano, altri dispongono chi ascolta al coraggio, altri con una qualche cattiva persuasione avvelenano e incantano l’anima”.
Non è un caso che sia stato Platone, che conosceva bene la retorica dei sofisti, a sottolineare come questi intellettuali ritenessero i discorsi un farmaco per il male psicologico, altrettanto potente e parallelo a quello che i farmaci dei medici hanno sui corpi malati
Venendo all’oggi, il diritto di sapere del paziente è ormai un fatto acclarato e molto diffuso. Occorre quindi maggiore consapevolezza e sensibilità da parte dei medici e di tutto il personale sanitario nell’utilizzo delle parole, sia quelle positive che quelle negative.
La comunicazione tra medico e paziente va considerata come atto i cui effetti devono essere misurabili e vanno misurati. Si tratta di realizzare, anche in ambito sanitario, una piccola rivoluzione copernicana. Vanno portate ai medici le esperienze di buona relazione medico – paziente, raccontate dai pazienti. Esse devono divenire oggetto di formazione e aggiornamento dei medici stessi.
La relazione di cura per antonomasia è la relazione medico paziente. Occorre quindi aiutare i medici a comunicare, a relazionarsi con i loro pazienti.
Vanno raccolti i racconti dei pazienti inerenti una buona relazione con il loro medico curante. I racconti positivi dopo esser stati raccolti vanno trasferiti ai medici affinché, questi ultimi, ne facciano tesoro. Riflessioni che nascono dalla considerazione che le parole negative attivano il dolore (fanno male), cosa che è stata evidenziata anche attraverso RMN funzionale, nella ricerca condotta dalla Fondazione Giancarlo Quarta presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Ricerca che ha portato alla pubblicazione dell’ebook “Anche le parole curano – Relazione di cura e complessità”,  scaricabile gratuitamente online.
Le parole sono “oggetti” che possono contribuire al processo di guarigione e, al tempo stesso, possono ferire. Le parole positive hanno un effetto di miglioramento delle condizioni di salute dei pazienti. Le interazioni positive inoltre, cosa molto significativa, lasciano una “memoria”.
“Le parole sono pietre ed alle volte i medici le usano come piume”.
 
Roberto Landolfi