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Le Pupille

"Nonostante previsioni favorevoli per il film della regista italiana l’Oscar per il miglior corto live action è andato a An Irish Goodbye di Tom Berkekey e Ross White (Ansa del 13 marzo 2023)"

Alice Rohrwacher racconta il suo cortometraggio Le pupille

Ambientato in un orfanotrofio femminile, potrebbe vincere l'Oscar e la regista ha l'unico rimpianto di non poter portare le sue venti piccole protagoniste al Dolby Theater

di Piera De Tassis
(Tratto da “Elle” del 09/03/2023)


    foto: Danilo Scarpati

Ci sarà una volta è il bel titolo della sua prossima serie e per Alice Rohrwacher la favola si fa realtà: dal formato piccolissimo all’immensità, dallo sguardo delle bambine colmo di stupore nel cortometraggio Le pupille, prodotto da Alfonso Cuarón e candidato all’Oscar, ai milioni di occhi puntati sul palco del Dolby Theater in quella grande notte del 12 marzo. Che bello sentirle dire «Avevo voglia di fare un film con le bambine», che bello sapere che per questo ha messo sottosopra il testo cui il film si ispira, una lettera natalizia di Elsa Morante al critico e intellettuale Goffredo Fofi, ancora più bello è sapere che Cuarón la considera una delle migliori registe al mondo, lei nata in Toscana e cresciuta a Castel Giorgio, in Umbria, con mamma italiana, papà tedesco e una sorella maggiore, Alba, attrice del cuore, che nel film candidato (e distribuito su Disney+) è una madre superiora tanto severa da sfregare con il sapone la lingua delle pupille ospiti dell’orfanotrofio, ree di aver cantato la proibitissima Ba ba baciami piccina.

Alice Rohrwacher indossa cardigan e gonna di cashmere su camicia e midi skirt di carta tessile, tutto Prada; orecchino I Monili della Dea

Siamo negli anni Quaranta, in tempo di guerra e privazioni, ma l’atmosfera è quella della provincia italiana riscaldata dalle canzoni e dagli incantevoli (e punitivi) costumi di angioletto che le bimbe indossano nel presepe vivente, così simile a quello che affascinava Alice da piccola. Un vero coro di bimbe «e tale deve restare», dice la regista, mamma di Anita, 16 anni «nessuna differenza tra le venti piccole interpreti. Solo il giorno prima di girare si è delineata una protagonista, Serafina, la bambina “cattiva”. A definirla così è quella madre superiora che rappresenta il potere, in realtà è la più buona, per coerenza compie un atto di disobbedienza e alla fine sarà l’unica a gustarsi una fetta della lussuosa torta di Natale, condividendola però con le altre orfanelle». Alice, che ha dedicato la nomination all’Oscar alle «bambine ribelli» si racconta a Elle alla vigilia della partenza per il viaggio americano verso l’Oscar, fatto di impegni, feste, cene e tanto lavoro di promozioni

Come nasce la collaborazione con il premio Oscar Cuarón?

Aveva amato moltissimo Lazzaro felice e un anno fa mi ha detto: «Voglio concedermi il lusso di essere un produttore che fa solo i film che vorrebbe vedere. E mi piacerebbe che tu girassi un corto sul Natale. Ho pensato subito a quella lettera augurale in cui Elsa Morante narrava le festività in un collegio di preti e ragazzini e ho deciso di traslare tutto in un orfanotrofio per bambine. Pupille è un piccolo miracolo, nasce da quella "rete dorata" di relazioni di cui parlava spesso la scrittrice Anna Maria Ortese, dall’amicizia tra me e Cuarón, dalla mia passione per i libri di Morante, dal legame personale con Goffredo Fofi….

...e naturalmente dal rapporto intenso fra due sorelle, lei e Alba, a cui affida quella madre superiore così aspra. Come l’ha convinta?

Volevo a tutti i costi averla lì con me, tra le mie pupille e in un ruolo diverso da quelli interpretati nei mei film. C’è anche un piccolo riferimento personale, lei è la maggiore e quegli sguardi severi con cui gela le piccole protagoniste sono sensazioni che solo le sorelle minori possono riconoscere (ride).

Il futuro sarà delle bambine, soprattutto disobbedienti?

Il mistero dell’infanzia per me conta tanto e mi piaceva tradurre tutto al femminile, universo con cui ho maggior familiarità. Avevo tanta voglia di lavorare con le bambine, per il film abbiamo ricostruito una Natività con risvolto magico, nella mangiatoia appare a mezzanotte il Bambin Gesù, ma si scopre che è una Gesù Bambina.

Un modo per riscrivere la storia dalla parte delle bambine?

Per me soprattutto la possibilità di rendere meno scontato l’avvenire. A volte può sembrare che non ci sia una via d’uscita e invece, forse, basta solo immaginarla.

Lei ne è capace?

Con il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà sì, ci riesco, benché consapevole del mondo difficile in cui stiamo vivendo. Il tema delle bambine è però cruciale, ce n’è una in tutte noi, brilla in fondo ad ogni pupilla, ad ogni sguardo. Ho dedicato questa candidatura alle bambine cattive che spesso non lo sono affatto: lo dimostra l’attualità, in Iran come in Afghanistan la rivoluzione e il cambiamento girano attorno al corpo delle ragazzine, alla loro libertà di esistere, mostrarsi, disubbidire, al fatto di poter cantare Bella ciao o anche Ba ba baciami piccina come nel mio film. Pensi all’idea di scandalo, ciò che lo provocava cinquanta anni fa oggi ci pare assurdo, eppure metterlo in scena fa riflettere sul presente. Le mie piccole protagoniste non sono autorizzate a cantare un’innocua canzoncina d’amore, ma nel notiziario radio devono ascoltare in silenzio parole violentissime di guerra, di corpi straziati, nemici e bombe.










 

Che cosa fa davvero scandalo oggi?

La bontà. Lazzaro felice raccontava proprio questo. La bontà è sempre scandalosa, in una società basata sulla competizione, è sovversiva, manda a gambe all’aria le certezze che rassicurano.

Lei ha vinto tantissimi premi, acclamata internazionalmente con film calorosi e di fibra italiana, ma che nulla concedono al commerciale (tutti prodotti con Tempesta di Carlo Cresto-Dina, vera famiglia produttiva). Qual è il suo segreto, Alice?

Non lo so, certo il mio Lazzaro ha parlato a popoli lontanissimi, in Cina, ad esempio, la risposta è stata incredibile. Forse i miei lavori contengono figure arcaiche, archetipi della nostra memoria d’infanzia, che appartiene a tutti. I miei film li considero come case in cui uno può entrare, dormire, prendere il tè, il caffè, fermarsi a mangiare e dove si nascondono però dei cassetti segreti, anche chi non ha memoria di quel posto li può scovare, ci si può riconoscere. È come se con le mie collaboratrici abituali, la scenografa Emita Frigato, la costumista Loredana Buscemi, la sound editor Daniela Bassani e tante altre, si producesse ogni volta la rielaborazione di una maniera antica di fare, sepolta in noi dall’infanzia. Penso ci sia qualcosa di molto femminile, insondabile, in questo.

A proposito di memorie d’infanzia com’erano i Natali delle sorelline Rohrwacher?

Passavamo le feste con la famiglia di mio padre, in Germania, dove il Natale è molto partecipato, molto decorato, giorni e giorni di festoni, disegni sui vetri e alberi da addobbare. Ricordo che venivano tolte le tende alle finestre perché si intravvedesse tutto lo splendore degli interni, ho memoria di tante vetrine illuminate, tanti piccoli schermi di cinema accesi nelle strade. Poi si tornava a casa, in Umbria, alla nostra vita alternativa dove la mamma inventava un presepe povero, e bellissimo, vestendo mandarini, noci e rami spezzati. Quel tempo natalizio era il momento in cui più riflettevo sulle due culture in cui ero immersa, di cui sono impregnata.

I titoli dei suoi film, evocativi, mescolano sempre nostalgia e presente, Corpo celeste, tratto da Ortese, Le meraviglie premiato a Cannes, Lazzaro felice. Mondo contadino, sentore umbro e sempre l’adolescenza. Anche il prossimo La Chimera lascia intendere un vento di utopia…

Il nuovo film nasce in realtà da un’esigenza interiore e molto molto personale, con protagonisti importanti, Alba, Isabella Rossellini, Josh O’Connor. Posso solo dire che racconta le sconsiderate avventure di una banda di tombaroli degli anni '80, ma in realtà è un viaggio attraverso il nostro territorio, la nostra ricchezza archeologica e nascosta, il tempo dilatato delle stagioni. Come avrà capito, voglio mantenere il mistero...

Resta però altro da svelare, perché dalle bambine alle fiabe il suo sembra un viaggio in continuità. Ci racconta la prossima avventura, la sua prima serie tv Ci sarà una volta?

Io non la chiamo serie, preferisco "antologia". Si comporrà di otto fiabe tratte dalla tradizione italiana antica, dalle novelle di Gianfrancesco Straparola alla Novellaja fiorentina, otto racconti in otto luoghi diversi del nostro Paese. Scrivo e dirigo, un lavoro impegnativo che un po’ mi spaventa, ma che considero importante perché la fiaba è un modello di racconto specifico della nostra identità. E ho voglia di concentrarmi sempre più sull’infanzia, di creare qualcosa destinato a tutti ma specialmente ai bambini, sento la necessità di trasportarli verso un altro livello narrativo, c’è troppa disattenzione in questo momento nei confronti di ciò che si produce per loro. L’infanzia, da noi, in Italia è un po’ dimenticata.

Ha già pensato al suo speech, in caso di vittoria, sul palco dell’Oscar?

Ancora no, prima di tutto bisogna credere che accada. A volte penso che sia impossibile, la candidatura è già un risultato incredibile. Poi però mi viene in mente che siamo cresciute con un cartone animato che adoravamo, Lady Oscar e… spero porti bene!