Il Rapporto CENSIS del 2021 definisce l’Italia
affetta da Nazionalismo Introflesso. Nel 2019 Massimiliano Valerii, direttore
generale del CENSIS, nel suo libro: “La notte di un’epoca. Contro la società
del rancore: i dati per capirla e le idee per curarla” parlava di un
Nazionalismo Illiberale. Dal 1989, dalla caduta del muro di Berlino, il PIL del
mondo è più che raddoppiato, l’export mondiale è aumentato di quattro volte, la
popolazione mondiale che vive al di sotto della soglia internazionale della povertà
è passata dal 36 al 10%. Indicatori economici tutti positivi; al tempo stesso si
sono ampliate le disuguaglianze all’interno dei singoli paesi. In Italia,
rispetto a trent’anni fa i redditi degli operai sono diminuiti del 18%, quelli
dei dirigenti aumentati del 7%. I redditi dei giovani sono diminuiti del 32%,
quelli degli anziani sono invece aumentati. La globalizzazione ha portato al
fallimento della redistribuzione di benefici ed opportunità.
Si è strutturato un nazionalismo molto
diverso da quello storico: nel 1800 si tendeva ad edificare gli Stati- Nazione
e a fortificare le identità nazionali. Quello odierno è invece un nazionalismo
introflesso, volto alla chiusura e alla ricerca di protezione. Domina la paura.
A distanza di 35 anni dalla caduta del muro di Berlino, si erigono nuovi muri
ed il pericolo maggiore di turbamento della stabilità, nei paesi ricchi,
continuano ad essere i migranti. Li respingiamo mentre fingiamo di non
accorgerci che stanno arrivando.
Le moderne democrazie stanno perdendo la
capacità di rispondere ai bisogni sociali come riuscivano a fare in passato. Le
democrazie illiberali prendono sempre più spazio. Segnali inequivocabili che,
quanto teorizzato da Valerii, si va realizzando. Dovunque, in Europa, ad ogni
tornata elettorale, continuano a vincere le destre.
Le cose non vanno meglio a livello delle
famiglie: con il Covid sono aumentate le chiusure, le diffidenze, la tendenza
al risparmio. Si calcola che ammontino a 1000 Miliardi di euro i risparmi detenuti
dalle famiglie italiane, con un incremento del 25% dal 2000 al 2020. Tale cifra
rappresenterebbe la sesta economia europea dopo quelle di Germania, GB,
Francia, Italia e Spagna.
Dal 2020 si sono inoltre incrementati: denatalità,
numero di single; le famiglie divengono sempre più piccole; la famiglia non è
più un sostegno (per anziani, disabili etc.), se non nei paesi con pochi
abitanti o nelle isole; mentre, nelle metropoliti, sono gli anziani a sostenere
economicamente i giovani che non trovano lavoro.
Un quadro davvero poco rassicurante.
Con il Covid si è incrementata inoltre,
nelle famiglie, la perdita della cultura del rischio (calcolato). Dal 2020 il
rischio si identifica con l’azzardo. È venuto meno il welfare del 900. La propensione
al cambiamento, nel dopoguerra, si era
identificata con la propensione al rischio: oggi è venuta meno. Riprendere la
“cultura del rischio” può rappresentare la piattaforma per la ripresa.
Nell’estate del 2023 sta crescendo la
spesa per viaggi e turismo. Come se, dopo anni di chiusura domiciliare, causa
Covid, ci sia sempre più bisogno dell’effimera vacanza, anche se molto costosa,
per riprendere fiato.
E poi?
È troppo facile prendersela con la politica che non funziona. Dare la
colpa ai politici. Cominciamo a chiederci: “ma io che faccio, per cambiare
questo stato di cose”. Partire da sé per cambiare la realtà che non va. Tutti, giovani e anziani, ricordandoci che: < Si è giovani quando si pensa ”il mondo
è così e lo voglio cambiare”. Non si è più giovani quando si pensa “il mondo è
così e non ci posso far niente” >
Riprendere la “cultura del rischio” può rappresentare la piattaforma per il cambiamento.
R.L.