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La Biblioteca di Alessandria

 La Biblioteca di Alessandria fu fondata dai Tolomei, la dinastia greco-egizia che trae le sue origini, nel 305 a.C., da uno dei "diadochi" di Alessandro Magno. È probabile che l'ideazione della biblioteca sia stata di Tolomeo ISotere, che fece edificare anche l'annesso tempio delle Muse, il Museo. La biblioteca fu arricchita nel tempo tra IV e I secolo a.C. Sicuramente è da attribuire al Filadelfo l'impulso dato all'acquisizione di opere, soprattutto con il cosiddetto "fondo delle navi". Questa raccolta deve il suo nome al fatto che, secondo un editto faraonico, tutti i libri che si trovavano sulle navi che sostavano nel porto di Alessandria dovevano essere lasciati nella biblioteca in cambio di copie. Da ricordare che in questo periodo (III secolo a.C.) fu intrapresa la traduzione in greco dell'Antico Testamento, che era scritto in ebraico, che divenne nota come Septuaginta o "Bibbia dei Settanta". Al tempo di Tolomeo III dovevano esistere già due biblioteche: la più grande, all'interno del palazzo reale, era adibita alla consultazione da parte degli studiosi del Museo, mentre la seconda, più piccola e destinata alla pubblica lettura, si trovava all'esterno della corte, nel tempio di Serapide, il "Serapeum". Si presume che al tempo di Filadelfo i rotoli conservati nella biblioteca maggiore fossero circa 490.000, mentre quelli della biblioteca del Serapeo ammontassero a circa 42.800. L'esatta consistenza libraria della Biblioteca di Alessandria, come anche il numero degli autori dei libri, è sconosciuta, dato che molti rotoli potevano contenere più opere e molti di questi potevano essere duplicati. Il primo direttore della biblioteca fu Zenodoto di Efeso, famoso per l'edizione critica dei poemi di Omero e al quale si deve la sistemazione in ordine alfabetico del patrimonio librario. La prima catalogazione delle opere contenute nella biblioteca si deve forse a Callimaco di Cirene, invitato da Tolomeo I ad unirsi al circolo di intellettuali della corte alessandrina. La sua grande opera, i Pinakes o «Tavole delle persone eminenti in ogni ramo del sapere con l'elenco delle loro opere», è probabilmente una versione dell'elenco per categorie redatto per il catalogo della biblioteca reale. Dopo la direzione di Apollonio Rodio, nella seconda metà del III secolo a.C. fu a capo della biblioteca il grande geografo Eratostene, che, a differenza dei predecessori, contribuì all'aumento dei trattati di ambito scientifico. Fu comunque nella prima metà del II secolo a.C. con Aristofane di Bisanzio ed Aristarco di Samotracia che la lessicografia e la filologia alessandrina toccarono l'apice della loro fortuna. Dopo la metà del II secolo le complesse vicende interne e i disordini sociali non permisero ai Tolomei di proseguire la politica culturale dei predecessori e la Biblioteca ed il Museo persero progressivamente il ruolo che avevano ricoperto in passato.

Le fonti riguardanti la fine della Biblioteca di Alessandria sono contraddittorie ed incomplete e rendono ardua una ricostruzione condivisa dell'episodio e della sua datazione. La prima notizia di un incendio che distrusse almeno parte del patrimonio librario concerne la spedizione di Giulio Cesare in Egitto. In seguito ai disordini scoppiati ad Alessandria, un incendio si sviluppò nel porto della città, danneggiando gravemente la biblioteca. La distruzione della biblioteca è collocata da alcuni storici al tempo del conflitto che oppose l'imperatore Aureliano alla regina Zenobia di Palmira, verso il 270. Nel corso dei feroci scontri ingaggiati nella città di Alessandria, fu raso al suolo il Bruchion, quartiere della città dove si trovavano la reggia e, al suo interno, la biblioteca. In alternativa a questa teoria alcuni studiosi, basandosi su fonti che attestano la sopravvivenza del Museo fino al IV secolo, hanno ipotizzato che la distruzione della biblioteca vada ricondotta ad una data vicina al 400.

Secondo questa interpretazione, la fine della Biblioteca di Alessandria e del Museo sarebbe collegata a quella del Serapeo, la biblioteca minore di Alessandria, distrutto in seguito all'editto dell'imperatore Teodosio I del 391, ostile alla cosiddetta "saggezza pagana". Secondo altri studiosi quest'ipotesi sarebbe originata invece da una confusione tra le due biblioteche di Alessandria. E dunque la Biblioteca maggiore di Alessandria sarebbe sopravvissuta anche a questo episodio.

Morris Kline, a proposito della scomparsa del mondo greco, in relazione alla distruzione della biblioteca di Alessandria, nota: «Dal punto di vista della storia della matematica l'avvento del cristianesimo ebbe conseguenze sfortunate. I capi cristiani, sebbene avessero adottato molti miti e usi greci e orientali con l'intento di rendere il cristianesimo più accetto ai convertiti, si opposero alla cultura pagana mettendo in ridicolo la matematica, l'astronomia e la fisica. Ai cristiani era vietato contaminarsi con la cultura greca. Nonostante la crudele persecuzione dei Romani, il cristianesimo si diffuse e diventò così potente che l'imperatore Costantino (272-337) fu costretto ad adottarlo come religione ufficiale dell'impero romano. I cristiani erano ora pronti a distruggere in maniera ancora più accentuata la cultura greca. L'imperatore Teodosio proscrisse le religioni pagane e, nel 392, ordinò la distruzione dei templi greci. Molti di essi vennero trasformati in chiese, pur continuando spesso a ornarsi di sculture greche. I pagani vennero attaccati e assassinati in tutto l'impero. La sorte di Ipazia, una matematica alessandrina di fama, figlia di Teone di Alessandria, è il simbolo della fine di un'era. Per essersi rifiutata di abbandonare la religione greca, cristiani fanatici la aggredirono nelle strade di Alessandria e la fecero a pezzi.

I libri greci venivano bruciati a migliaia. Nell'anno in cui Teodosio bandì le religioni pagane i cristiani distrussero il tempio di Serapide che racchiudeva ancora l'unica grande raccolta esistente di opere greche. Si ritiene che siano stati distrutti 300.000 manoscritti. Molte altre opere scritte su pergamena vennero cancellate dai cristiani in modo da poter usare essi stessi la pergamena per i propri scritti. Nel 529 l'imperatore romano d'Oriente Giustiniano chiuse tutte le scuole filosofiche greche, compresa l'accademia platonica. Molti studiosi greci lasciarono il paese e alcuni, come ad esempio Simplicio, si stabilirono in Persia.»  Per quanto l’ipotesi di Kline ci appaia sconcertante e anche inquietante, la distruzione di un patrimonio culturale e di una intera civiltà ci appare da ricondurre, oltre che alla guerra e alla incapacità degli esseri umani di comprendere e rispettare i saperi e le opere prodotte da chi li ha preceduti nella storia, al fanatismo e alla presunzione di essere, in un presente ridicolmente transitorio, padroni della verità e autorizzati a distruggere tutto quello che la metta in discussione.

Maria Colaizzo