testata registrata presso Tribunale di Napoli n.70 del 05-11-2013 /
direttore resp. Pietro Rinaldi /
direttore edit. Roberto Landolfi

Marc Augè

Morto Marc Augé, l’antropologo francese dei non luoghi
di Carlo Bordoni
tratto da Corriere della Sera – Cultura – 24 luglio 2023  


Nato a Poitiers nel 1935, aveva dedicato i suoi studi alla condizione contemporanea dell’uomo, caratterizzata da una solitudine patologica e dalla ricerca dell’evasione.
Se c’è una cosa che ha caratterizzato Marc Augé, antropologo e filosofo scomparso ieri all’età di 87 anni, è la laicità. Il suo Genio del paganesimo (1982) è la risposta, a 180 anni di distanza, al Génie du Christianisme (1802) di Chateaubriand, per culminare nella dissacrazione ironica e irriverente de Le tre parole che cambiarono il mondo (2016), divertissement di genere fantapolitico, dove un insolito Papa Francesco si affaccia su Piazza San Pietro per annunciare che “Dio non esiste”.
Nato a Poitiers il 2 settembre 1935, Augé ha svolto ricerche etnografiche soprattutto in Africa e nell’America latina, ha diretto la prestigiosa École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, di cui è stato anche Presidente, e l’Istituto francese di Ricerche per lo sviluppo (IRD).
Instancabile viaggiatore, ha dedicato molti suoi lavori alla “mobilità” umana nel mondo, come Un etnologo nel metrò (1986) e il divertente Il bello della bicicletta (2008), ma la sua fama internazionale è legata soprattutto all’intuizione dei “non-luoghi” (Non-luoghi. Introduzione a un’antropologia della surmodernità, 1992).
«L’uomo è un animale simbiotico – scrive – e ha bisogno di relazioni inscritte nello spazio e nel tempo, ha bisogno di “luoghi” in cui la sua identità individuale si costruisca col contatto e grazie al riconoscimento degli altri». I non-luoghi sono allora quegli spazi realizzati artificialmente per esigenze di scambio, dove l’individuo è un’unità priva di identità personale.
Sono gli aeroporti, le stazioni ferroviarie, i grandi centri commerciali, in cui confluiscono e transitano ogni giorno milioni di persone, senza che questo enorme afflusso riesca a costruire relazioni significative. Qui l’individuo è solo, utilizza codici impersonali e segue regole di comportamento generali. I non-luoghi sono il prodotto della modernità avanzata o, meglio, nella definizione di Augé, della “surmodernità”: l’evoluzione della società per effetto della globalizzazione e del superamento della postmodernità.
I non-luoghi sono il prodotto del consumismo, non solo dei beni materiali o deperibili, ma soprattutto della comunicazione: «La comunicazione è il bene di consumo per eccellenza e, paradossalmente, non smette di individualizzarsi». Il bisogno di relazioni, in cui costruire “luoghi” per confermare la propria identità e uscire da una solitudine devastante, spinge a ricercare brandelli di comunità negli stessi non-luoghi – come quei gruppi di giovani che si ritrovano nei supermercati o attorno alle stazioni – ma soprattutto nella rete, nei social, affascinanti non-luoghi di dipendenza ossessiva e compulsiva, dove si consuma il desiderio insoddisfatto di essere riconosciuti (e amati) dall’Altro.
In più occasioni Augé ha celebrato il bistrot come esempio perfetto di luogo per eccellenza (Un etnologo al bistrot, 2015), dove la gente pratica rapporti autentici e trova la gioia di vivere. Il problema è che da una società di massa si è passati a una più rigida suddivisione in tre classi: i potenti, minoranza che si sottrae alle leggi nazionali; i consumatori, privilegiati eredi della scomparsa classe media; gli esclusi, per i quali è negata persino la speranza. Si cerca la salvezza nell’evasione, nel viaggio, nell’allontanamento da sé.
Le nuove pratiche sociali spesso scelgono vie di fuga irrituali, vere e proprie forme di realizzazione dell’utopia – gli “eterotopi” di Foucault – ricreando nuovi legami, anche effimeri, nei villaggi-vacanza o nei paesi più accoglienti per la terza età (Portogallo, Messico, Costa Rica, Panama, Malta, Marocco), destinazioni finali di pensionati in cerca di tranquillità e benessere a prezzi accessibili. Ma anche le migrazioni dai paesi più poveri sono forme di “eterotopia”, di ricerca di luoghi d’accoglienza in cui realizzare il sogno di un’esistenza migliore, spesso naufragato nel Mediterraneo o nei campi profughi.
Per i migranti Augé ritiene sia necessaria l’assimilazione, la piena integrazione nel Paese d’arrivo, ad evitare i rischi del terrorismo; vede nel multiculturalismo una trappola micidiale, che mantiene ed esaspera la divisione etnica, istituzionalizzandola.
Sul tempo ha scritto pagine illuminanti (Che fine ha fatto il futuro?, 2008; Futuro, 2012; Il tempo senza età, 2014; Un altro mondo è possibile, 2017), arrivando alla conclusione che «si muore sempre giovani», poiché si sono perdute le differenze generazionali che scandivano le età della vita umana, con i ruoli e i comportamenti (anche estetici) delle tappe evolutive. Al punto da poter dire oggi che «la vecchiaia non esiste». Così il tempo si cristallizza e riduce il futuro a un’eventualità probabilistica.
La modernità ha cancellato le narrazioni del passato e ha fatto delle utopie ottocentesche una questione unicamente economica e quantitativa. L’incapacità di progettare il futuro sta forse nella conflittualità esistenziale del presente: «Cambiamo il mondo prima ancora di immaginarlo». Sarà per questo che lo sentiamo come estraneo, qualcosa che non ci appartiene. Insomma, un non-luogo.