Pierre Hadot
tratto da “Avvenire del 4 aprile 2024
«Non prepara a una professione ma trasforma la
sensibilità delle persone, il loro carattere, il modo di vedere il mondo». Il testamento
dell’esperto di pensiero antico e patristica, morto nel 2010.
Raffaello, "La scuola di Atene", particolare
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Proponiamo alcune pagine dall'ultimo libro del
filosofo francese, uscito postumo in Francia, La filosofia come educazione per adulti. Testi, prospettive, dialoghi, proposto
in Italia dall’editore Marietti.
«La filosofia non si preoccupa solo di cambiare le
nostre idee, vuole anche cambiare la nostra sensibilità. I filosofi sono,
idealmente, degli educatori, e non semplicemente educatori della gioventù, ma
educatori di loro stessi e dei loro coetanei. Stanley Cavell una volta ha
proposto una definizione della filosofia: “educazione degli adulti”. Penso che
sia la mia definizione preferita». Queste riflessioni del filosofo americano
Hilary Putnam esprimono una concezione della filosofia che si contrappone a
molte correnti della filosofia morale contemporanea. Per Putnam filosofare non
è costruire una teoria astratta, ma costruire una persona umana. Una simile
concezione può inscriversi all’interno di una tradizione molto lunga che risale
a Socrate e a Platone, e che è stata in auge fino alla fine dell’antichità,
poiché nel VI secolo della nostra era, il filosofo neoplatonico Simplicio,
commentando Epitteto e tentando di definire il ruolo e il mestiere del filosofo
nella città, non esita a dichiarare: è quello di uno «scultore di uomini». Il
filosofo non insegna agli uomini un mestiere particolare, e neanche li prepara
a una professione particolare, ma cerca di trasformare la loro sensibilità, il
loro carattere, il loro modo di vedere il mondo o di rapportarsi con gli altri
uomini. Si potrebbe dire che insegna loro il mestiere dell’uomo. Dice Epitteto,
così come sappiamo se un falegname ha tratto profitto dalla sua educazione di falegname
quando lo vediamo costruire una casa, così sappiamo se un filosofo ha tratto
profitto dalla sua educazione di filosofo quando lo vediamo vivere come un uomo
dovrebbe vivere. Già il Socrate dell’Apologia aveva rimproverato
agli ateniesi di occuparsi della loro fortuna, della loro reputazione, dei loro
onori, invece di cercare di migliorarsi nel loro pensiero, nella loro verità,
nella loro anima. Molti secoli dopo, Nietzsche svelerà il pericolo della vita
sociale e professionale che rischia di farci dimenticare di vivere la nostra
vita umana […].
Per Aristotele, vivere da uomo è persino
paradossalmente andare oltre la condizione umana, poiché considera che la
filosofia, in quanto consiste in un modo di vivere votato al pensiero, ci
conduce ai limiti dell’umano. Quando l’uomo si dedica interamente all’attività
dello spirito, «allora non vive più solo come uomo, ma come se possedesse
qualcosa di divino». Comunque sia, tutti i filosofi antichi, ciascuno a suo
modo, cercano di interferire nella condotta della vita quotidiana dei loro
discepoli, al fine di cambiare il loro stile di vita. […]
La filosofia che interessa ogni uomo è quella che Kant
chiama la filosofia «cosmica», ossia del «mondo», in contrapposizione alla
«scuola». Ciò che interessa ogni uomo è «Come vivere?», ed è la meta dell’uomo
la quale, agli occhi di Kant, è infine la saggezza. L’idea della saggezza, o
meglio l’idea del saggio ideale, è il fondamento della filosofia. Se l’idea del
saggio ideale non si è mai realizzata, resta il fatto che tutte le leggi che la
ragione impone a se stessa implicano questa idea. E Kant sottolinea con forza
che furono gli antichi i più vicini a questo modello di filosofia. In Kant i
rapporti che intrattengono la filosofia scolastica e quella cosmica sono complessi.
La filosofia scolastica ha la sua utilità. Ci insegna a emettere giudizi
migliori. Ma la filosofia scolastica, di per sé, non è veramente filosofia.
Infatti, se la filosofia comincia con la speculazione, essa deve poi elevarsi a
diventare la guida della ragione verso ciò che più le interessa, la meta
dell’uomo. Occorre anche precisare che la filosofia speculativa praticata dallo
stesso Kant è in realtà una critica, che permette di stabilire i limiti della
ragione e aprirà poi la strada alla «filosofia del mondo». Se rimane pura
speculazione, tende a degradarsi. Per esempio, Kant dichiara che Wolff, che per
lui incarna la filosofia scolastica, non era propriamente un filosofo. Ogni
interesse è in definitiva pratico, e anche quello della ragione speculativa
rimanda in ultima analisi all’uso pratico.
Putnam si colloca esplicitamente nella tradizione di
questa distinzione kantiana, quando rifiuta di vedere la filosofia come una
disciplina puramente tecnica e considera essenziale la domanda: «Come vivere?».
È ancora fedele a Kant quando identifica la filosofia con lo sforzo di pensare
con la propria testa. «Pensare con la propria testa», tale era infatti la
definizione che Kant diede di Aufklärung, ma anche dell’atto stesso di
filosofare. Pensare con la propria testa è precisamente diventare adulti,
rimettere in discussione i pregiudizi, le mode, ma anche gli argomenti
autorevoli delle religioni e delle filosofie. Definendo Aufklärung con la
capacità di «pensare con la propria testa», Kant riprendeva del resto una
rivendicazione della «filosofia popolare» tedesca del XVIII secolo. Allora
veniva glorificato l’eclettismo, che veniva inteso come libertà di scegliere
tra diverse opinioni. Pensare con la propria testa non significava rifiutare
tutta la cultura tradizionale, ma era criticare o assimilare personalmente
questa o quest’altra dottrina, questo o quest’altro atteggiamento che sembrava
il migliore in questa o quest’altra circostanza. La filosofia dell’illuminismo
era qui l’erede di Cicerone, a sua volta testimone delle idee della scuola
platonica del II secolo prima della nostra era, l’Accademia probabilistica di
Arcesilao e Carneade.