È morto il 13 maggio a Montevideo Jose “Pepe”
Mujica, aveva 89 anni, ne avrebbe compiuti 90 dopo pochi giorni, e da tempo era
molto malato. Gli era stato diagnosticato un cancro all’esofago che negli
ultimi mesi si era diffuso al resto del corpo. Lo aveva rivelato Mujica stesso
all’inizio dell’anno: “Sto morendo. Anche il guerriero ha diritto al suo
riposo”, aveva detto. A dare l’annuncio della sua scomparsa è stato il
presidente dell’Uruguay Yamandú Orsi, per cui Mujica si era speso durante
l’ultima campagna elettorale lo scorso autunno. “Presidente, militante, punto
di riferimento e guida. Ci mancherai molto. Grazie per tutto quello che ci hai
dato e per l’amore per il tuo popolo”, ha scritto Orsi in un tweet sul
social network X che ha fatto subito il giro del mondo. Il governo ha
proclamato tre giorni di lutto nazionale.
Presto sono arrivati i messaggi di tanti leader della sinistra latinoamericana
per cui Mujica continuava a essere un simbolo e un esempio a cui ispirarsi:
l’ex presidente della Bolivia Evo Morales ha ricordato i suoi consigli, la sua
esperienza e la sua saggezza; in Cile Gabriel Boric ha scritto che Mujica ha
lasciato “la speranza che è possibile migliorare le cose e la convinzione non
negoziabile che, finché il cuore batte e nel mondo c’è ingiustizia, vale la
pena continuare a lottare”. Il presidente del Brasile Lula, che ha ricevuto la
notizia a Pechino dove è andato per partecipare alla riunione tra la Cina e la
Comunità degli stati latinoamericani e dei Carabi, ha scritto “che la sua vita
è stata un esempio di come la militanza politica e la gentilezza possano andare
per mano”.
Mujica nacque nel 1935 nel quartiere di Paso de la
Arena, nella periferia rurale di Montevideo. Perse il padre all’età di sei anni
e fu cresciuto dalla madre, che coltivava e curava la terra con diligenza,
impegno e cura. Mujica cominciò ad aiutarla nei campi fin da piccolo. Più
avanti raccontò che gli piaceva leggere ma lavorare la terra gli piaceva molto
di più. A 14 anni era già un militante, faceva parte di un gruppo anarchico di
quartiere e si univa alle rivendicazioni salariali degli operai. Andò a Cuba e
ascoltò i consigli di Che Guevara: imparare dall’università dell’esperienza e
dal contatto vivo con il popolo. All’età di 30 anni entrò nel Movimento di
liberazione nazionale Tupamaros, un’organizzazione armata che agiva in città.
Mujica fu arrestato in una delle sue prime azioni, l’esproprio di un’azienda
tessile, e fu condannato a otto mesi di carcere. Tornato in libertà entrò nella
direzione del movimento.
Fu arrestato altre tre volte e partecipò a due evasioni, di cui una
leggendaria nel 1971, quando insieme ad altri cento detenuti fuggì
dalla prigione di massima sicurezza di Punta Carretas attraverso un tunnel
largo quaranta metri e profondo dieci, che avevano scavato per mesi. L’anno
dopo fu arrestato di nuovo e diventò uno degli ostaggi in mano al regime
militare, che nel frattempo era salito al potere: se il movimento avesse
ripreso la lotta armata, lui e altri leader dell’organizzazione in carcere sarebbero
stati uccisi. Nei dodici anni di reclusione Mujica soffrì l’isolamento, le
torture, la privazione di cibo e acqua. Ma trovò comunque il modo di non
diventare pazzo. Uscì di prigione nel 1985, quando in Uruguay era tornata la
democrazia. Aveva 50 anni ma le torture subite lo facevano sembrare molto più
anziano. Non aveva risentimenti o rancori, ma convinzioni e ideali ancora più
forti.