Di Anna
Foa
Tratto da “Avvenire” del 28 maggio 2025
Manifestare non vuol dire chiedere la distruzione di uno Stato, ma lottare contro il suo governo, contro la sua politica. Salvarla dal razzismo dei suoi estremisti.
Una manifestazione per fermare il massacro a Gaza,
che si è svolta il 27 maggio a Lisbona - ANSA
Credo che oggi
sia necessario e importante manifestare nelle piazze perché Israele fermi
la distruzione di Gaza e il massacro dei suoi abitanti, perché tutti
gli ostaggi siano liberati e si avviino delle serie trattative di
pace che portino, in un modo o nell’altro, alla nascita di uno Stato
palestinese. Sappiamo bene che questa prospettiva ha due nemici: in primo luogo
il governo razzista e fanatico di Netanyahu, pronto a fare un numero infinito
di morti tra i palestinesi per evitare di porre fine alla guerra, di affrontare
le sue responsabilità e di accettare la nascita dello Stato palestinese. In
secondo luogo, inversamente e specularmente, Hamas, ugualmente contraria alla
nascita di uno Stato palestinese e in lotta per la creazione di una Palestina
dal fiume al mare, priva di ebrei. Oggi, di questi due oppositori della pace,
chi tiene il coltello dalla parte del manico, chi uccide senza posa civili, chi
affama vecchi e bambini, è Israele. Per questo è sul suo governo che bisogna
soprattutto fare pressione, con tutti gli strumenti possibili.
Israele è infatti sempre più isolata, e per quanto il suo isolamento ci riempia nonostante tutto di sgomento, sappiamo che è solo dal rifiuto generale della sua politica, e dall’opposizione al suo disprezzo per tutte le norme del diritto internazionale che potrà venire la salvezza. Per Gaza e per la stessa Israele.
Scendere così nelle piazze non vuol infatti dire chiedere la distruzione di Israele, ma lottare contro il suo governo, contro la sua politica. Non vuol dire combattere Israele, ma salvarla dal razzismo dei suoi estremisti e dagli attacchi alla sua democrazia che già oggi hanno come obiettivo non più solo i cittadini palestinesi di Israele, ma gli stessi suoi cittadini ebrei.
Se scendiamo in piazza dobbiamo avere chiaro che lo facciamo per salvare Israele, non per distruggerla. Per salvarla dal suo governo. Ci confortano le grandi manifestazioni che percorrono il Paese e hanno fra le loro parole d’ordine quella di cessare il massacro degli abitanti di Gaza. Ci conforta veder crescere il movimento di chi rifiuta di andare a combattere a Gaza, soldati di leva e riservisti.
Ci conforta vedere l’appello firmato da tanti cittadini israeliani che chiedono l’embargo europeo delle armi al governo israeliano. La loro lotta per la disobbedienza dobbiamo farla nostra, come dobbiamo sempre richiamare quelle manifestazioni nelle città israeliane e anche quelle, tanto più rischiose, dei palestinesi di Gaza contro la dittatura di Hamas. Solo sostenendo la loro lotta, ricordando al mondo che esiste in Israele un’opposizione che si batte, possiamo evitare di offrire spazio a quanti vorrebbero cancellare Israele dalla carta geografica e occasioni al veleno antisemita che cerca di insinuarsi in questa nostra battaglia. Che la nostra parola d’ordine sia: “Salviamo Israele”.