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Sanità. Visite in ritardo, dati assenti: le liste d'attesa sono un problema irrisolto

di Vito Salinaro 
tratto da Avvenire del 15 luglio 2025

Ai tempi lunghi necessari per prestazioni e consulti, si aggiunge la lentezza della Piattaforma voluta dal governo proprio per monitorare le criticità. Lo studio dell'Osservatorio della Cattolica. 


Se è vero che nel 2024 il 6,8% degli italiani ha preferito rinunciare a visite specialistiche e ad esami diagnostici a causa delle lunghe liste di attesa, è altrettanto vero che l’auspicato cambio di marcia atteso nel 2025, non si è verificato. Il Servizio sanitario nazionale rispetta i tempi di attesa massimi (stabiliti in base all’urgenza) soltanto per metà delle prestazioni. Per il restante 50% è buio fitto. Nelle urgenze (che dovrebbero essere garantite entro tre giorni), la quota di prestazioni erogate nei tempi, raggiunge il 75% solo per sei su dieci delle visite più comuni e per otto esami su 20 tra quelli più comuni. Con la situazione più critica che riguarda la colonscopia, esame fondamentale per individuare numerose patologie, tra le quali i tumori del colon-retto (la seconda causa di morte per cancro a livello globale, con tassi più elevati nei Paesi ad alto reddito), quasi sempre guaribili se scoperte agli esordi. Ebbene, quasi mai questo esame, se ordinato in urgenza, viene eseguito in tre giorni: metà dei pazienti aspetta 44 giorni in media e, considerando solo il mese di maggio, per una visita su quattro l’attesa è di almeno 190 giorni. In generale, nelle prescrizioni meno urgenti, quasi nessuna prestazione raggiunge la soglia di rispetto dei tempi. Almeno stando alla fotografia che emerge dai primi dati della Piattaforma nazionale sulle liste di attesa (Pnla) che il governo Meloni ha istituito, nell’ambito di un corposo provvedimento - la legge 107 del 29 luglio 2024 -, finalizzato proprio a ridurre le liste di attesa.
Ora, al di là di visite ed esami, che continuano a registrare ritardi enormi, in parte dovuti ancora al periodo pandemico, stentano a decollare anche gli strumenti per misurare questi ritardi: il portale nazionale nato per raccogliere i dati ufficiali sui tempi di attesa e l’Organismo che dovrebbe vigilare sull’erogazione delle prestazioni e sul sistema di gestione delle liste da parte delle Regioni, con la possibilità di sostituirsi ad esse nel caso di ripetute irregolarità. Emblematico il caso della Piattaforma sulle liste di attesa (accessibile dal sito Portale della trasparenza dei servizi per la salute e curata dall’Agenas). Partiamo dai tempi: considerata la sbandierata urgenza del provvedimento, l’attivazione del sito è arrivato solo il 25 giugno scorso, a circa un anno dall’approvazione del decreto-legge. Ma anche a voler relegare le tempistiche in secondo piano, i problemi sono ben altri. Perché, come rileva una recentissima analisi dell’Osservatorio Conti pubblici italiani (Ocpi) dell’Università Cattolica - organismo diretto da Carlo Cottarelli -, firmata da Gianmaria Olmastroni e Gilberto Turati, una criticità sostanziale deriva dalla pubblicazione dei dati, disponibili solo a livello nazionale, nonostante siano le Regioni a trasmetterli. Dunque, i cittadini non possono consultare i tempi di attesa né dei singoli ospedali, pubblici o privati, né degli ospedali del territorio, e neanche di quelli a livello regionale. Quale sia dunque l’utilità di questo portale, almeno nella forma attuale, è facile immaginare… Non solo: il portale utilizza un linguaggio statistico-tecnico che risulta molto complesso per chi, tra i fruitori, abbia fatto a meno di laurearsi in scienze della statistica.
C’è poi un’altra grave mancanza: la Piattaforma non indica i tempi massimi delle prenotazioni. Insomma, l’obiettivo dell’esecutivo di offrire un servizio trasparente e con informazioni aggiornate è tutt’altro che raggiunto. Così come l’attuazione dello stesso decreto che è fondamentale per dare risposte ai cittadini. Le altre misure previste dalla legge sulle liste di attesa necessitavano in totale di sei decreti attuativi, di cui due ancora da adottare e quattro pubblicati. Per tutti i decreti pubblicati l’adozione, avverte l’Ocpi, è avvenuta oltre quattro mesi dopo la scadenza prevista. Rimangono ancora inattuate due misure centrali della legge. La prima: l’attivazione di un sistema digitale che permetta di ottimizzare la gestione delle prenotazioni e l’adesione di tutti gli operatori al Centro unico di prenotazione (Cup) regionale, in modo che l’agenda degli operatori privati convenzionati coincida con quella del Cup. Per il primo è necessario un decreto del ministero della Salute contenente le indicazioni tecniche, per il secondo l’effettiva messa in atto da parte delle Regioni. Tra queste, sembra che l’unica che abbia intrapreso le azioni necessarie, sia stata la Lombardia: secondo l’assessore al Welfare, Guido Bertolaso, il sistema centralizzato dovrebbe però entrare in funzione entro fine 2026.
L’altra misura inattuata riguarda «l’abrogazione del tetto alla spesa per il personale sanitario e l’introduzione di un metodo per determinare la spesa basato su un piano triennale di fabbisogno del personale». Ma per definirlo, questo fabbisogno, servono dei decreti, di cui non c’è traccia.