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Ma “ L’ Espresso” è diventato un giornale misogino?


Leggo “ L’Espresso” da quando ero ancora una ragazzina. Naturalmente non è che lo comprassi personalmente ma lo comprava zio Ruggiero, il marito della mia carissima zia Maria, che era anche la mia madrina, da cui mi recavo tutti i sabati dopo la scuola. Trascorrevo quei  pomeriggi  chiacchierando e sfogliando i giornali e le riviste che si erano accumulati durante la settimana, riviste femminili che, essendo pubblicate da editori milanesi, mi facevano percepire una realtà  e una società molto diversa da quella statica e conformista della Napoli laurina di quei tempi, e “L’Espresso” che mi intrigava per il formato lenzuolo e la spiritosa e ironica rubrica “ Il lato debole” di Camilla Cederna. Ho continuato a leggerlo per tutta la vita e ho sempre seguito le battaglie che questa rivista ha fatto per le libertà femminili. Memorabile fu,  per lo scandalo suscitato all’epoca, la copertina,  che è ancora ben vivida nella mia memoria, in cui si vedeva una donna nuda  visibilmente incinta inchiodata a una croce,  al tempo della battaglia  per la legge sull’aborto. Quindi sono rimasta veramente sconcertata leggendo l’articolo di Michele Ainis  sul numero 47 del 27 novembre u.s. dal titolo << Candidature rosa non se ne può più >>. L’articolista comincia  prendendosela con Renzi   per le nomine femminili da lui fatte al governo, ai vertici di quattro grandi società partecipate dello Stato, alla Commissione europea, alla Consulta, e come capolista nelle cinque circoscrizioni elettorali europee. Continua, poi, con un  piglio e una verve degna di un talebano << Questo andazzo è offensivo innanzitutto per le donne. Ha un che di pornografico, gioca sull’esposizione del corpo femminile. E travisa una lezione che viene da oltre oceano, scimmiottandola con cinquant’anni di ritardo, deformandola con esiti caricaturali >>. Ora è vero  che alcune delle donne citate sono giovani e belle, ma sono anche capaci, qualcun'altra, forse, è più giovane che capace, ma ce ne sono  molte,che non sono più giovanissime e, come la giudice Chinnici, hanno un curriculum di tutto rispetto.  Ma il vero problema, secondo Ainis, è che le donne in Italia stanno facendo man bassa  di tutti i posti di potere e per i poveri maschietti non c’è più spazio. Infatti,  pur essendo sacrosanto che le “affermative actions”  inventate dal presidente Kennedy  per colpire la discriminazione nei riguardi della popolazione nera e poi estese a tutte le categorie discriminate << realizzano l’effettiva parità nei punti di partenza, impedendo che la gara sia falsata dal pregiudizio che circonda l’una o l’altra categoria sociale >>, però esse sono valide  soltanto quando c’è una gara. << Ma deve pur esserci una gara, non  una corsa solitaria. Se a un concorso da primario ospedaliero la candidata parte con un punto in più rispetto al candidato, quest’ultimo può sempre  superarla meritando due punti in più all’esame. E’ il sistema dei goals, così lo chiamano in America. Ma nella sua versione italica nessun maschietto potrà mai  fare goal, perché non è ammesso a giocare la partita >>.   A questo punto credo che l’ articolista sia sotto l’effetto dell’alcol o di qualche sostanza allucinogena che gli facciano vedere donne dappertutto. Ma passata la sbornia si ritorna al buon senso conservatore e maschilista, è vero che in Italia <<  il genere femminile viene storicamente discriminato sul lavoro, ma non in tutti i lavori. Nella scuola, per esempio le insegnanti sono di più degli insegnanti >>. Il poverino dimentica che  l’insegnamento  si è femminilizzato  quando, in una società affluente, è diventato  un lavoro con pochissimo  prestigio sociale  e scarso rendimento economico, tale da non essere appetibile più per i maschi. Poi egli nota che  anche in magistratura le donne sono in maggioranza, dimenticando ancora che in Italia, quando la competizione è incentrata  sul merito, le donne superano i maschi. Quindi, poi, per suffragare la sua tesi sull’ inutilità delle quote rosa, l’insigne studioso snocciola una serie di dati sulla  percentuale delle dirigenti in campo pubblico e privato desunti da uno studio  della Bocconi, concludendo col numero delle donne in politica << Sempre nel 2008, le parlamentari italiane erano poco più del 20%; alle politiche del 2013 sono diventate un terzo del totale; alle europee del 2014 le elette hanno raggiunto il 40% >>, non rendendosi conto che proprio quest’ultimo dato smentisce la sua tesi perché, se in questi ultimi anni è aumentato in  tal numero la percentuale delle donne affermatesi in politica, ciò  dipende proprio dalle “affermative actions” poste in essere dai partiti politici e soprattutto dal PD. La sintesi finale dell’ Ainis – pensiero, che mostra tutta la sua misoginia, è racchiusa in uno degli ultimi periodi dell’articolo  <<In secondo luogo, l’affirmative action va applicata con gradualità per non innescare effetti dirompenti >>. A questo punto, care lettrici e cari lettori, vi  interrogherete sulla persona di Michele Ainis che ha scritto l’articolo, immaginando che sia un povero nonagenario che teme, in questa società italiana impazzita, in cui le donne pensano soltanto al potere, di non potere avere più assistenza e cure da una  presenza femminile. Sorpresa! Michele Ainis è un illustre professore ordinario di  Istituzioni di Diritto Pubblico all’Università  di Roma III ed è nato nel 1955.

Marinella Gargiulo