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La mancanza non è assenza


Esiste un confine anche sottile tra la morte dei vivi e la vita dei morti? 
Sembrerebbe di no. Almeno così pare suggerirci Emma Dante nel suo dramma “Le sorelle Macaluso”.
La scena è buia, nera e vellutata,  brilla solo l’argento degli scudi sul proscenio; sono scudi di pupi o enormi ex voto? Dall’oscurità emergono un gruppetto di donne vestite di nero, corrono, si scalmanano quasi come prefiche al cospetto del Morto, ma la morte viene rimarcata non per allontanarla piuttosto per ricomprenderla nella vita. 
Le sorelle Macaluso hanno intrecci esistenziali fortissimi che neanche la morte di una di esse riesce a dipanare, non sono contemplate assenze, a nessun titolo. Come a dire che nella vita dei vivi sono vivi anche i morti perché per vivere non ne si può fare a meno.
E’ un universo femminile, un intreccio di relazioni nel quale anche il maschile è ricompreso per vituperarlo, odiarlo, ma anche per com-patirlo, per accoglierlo. Le dinamiche tra sorelle senza madre ci sono tutte; la cura della più debole da parte della più grande, la complicità anche quando si fronteggia il senso di colpa di una di esse per la morte accidentale di una di loro, la capacità di sdrammatizzare con una risata sguaiata terribili tensioni, il calore della vicinanza nell’abisso della perdita di un figlio.
Le sorelle Macaluso indossano sui loro corpi tutti gli abiti della vita: è il loro metterseli e toglierseli che scandisce il tempo della narrazione. L’atmosfera è  sempre sospesa nel guado del sogno, dei sogni disattesi dalla vita ma potenti nella morte come la bellissima danza finale della sorella di cui assistiamo senza rendercene conto al funerale, che nella morte arriva al denudamento del suo corpo per poter vestire l’abito sognato.
La rappresentazione è in dialetto ma non conta;  non è necessario capire il significato delle parole, basta cogliere altro in esse perché brillino di senso.  
Sullo sfondo del dramma c’è il mare, non si vede ma è essenza della narrazione, essenza di  vita e di morte, strumento dei loro destini, come spesso lo è per la gente del Sud.
La vita è combattimento, quello di cui non si può fare a meno, quello con le spade e gli scudi lampeggianti dei pupi, quegli stessi scudi dietro ai quali, alla fine, si celano lapidi, poco importa se sono quelle dei loro morti, tanto sono presenti lo stesso.


Maria Vittoria Montemurro