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L’Europa perde una stella


L’apprensione per il referendum che ha deciso,  poco più di un mese fa, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, è passata in ombra per il susseguirsi di eventi tragici, quali gli atti terroristici di Nizza e Dacca, il folle attentato a Monaco e lo stato d’assedio in Turchia a seguito del tentato golpe militare.
La tensione è alta e ogni giorno sentire un notiziario o leggere un giornale lascia un amaro in bocca ed una preoccupazione di fondo per lo stato della democrazia nel mondo. La Comunità Europea è nata dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale. Aberrazioni di ogni genere furono perpetuate in quel periodo buio della nostra storia. Il sogno dell’Europa unita, di uno sforzo di collaborazione fra i popoli europei, ci ha comunque garantito settanta anni di relativa pace in Europa e di clima democratico. Ha sorpreso tutti, e me per prima, la reazione emotiva all’indomani della Brexit. Fondamentalmente non me lo aspettavo. Essendo una suddita della Regina, ma nata e cresciuta in Italia, in Europa, ho sentito come una spaccatura nella mia identità culturale. Si,  una reazione quasi infantile.
Ho vissuto con due culture dentro, quella dei miei genitori scozzesi emigrati in Italia e quella della terra in cui sono nata e dove ho tirato i miei primi respiri: Napoli. Ho passato l’infanzia a coniugare due stili di vita e di pensiero.  Ricordo ancora quando venivo considerata una straniera in Italia ed una cittadina di serie B in Inghilterra. Diventare cittadina della Comunità Europea mi aveva alla lunga sollevata da questo compito. Passare le frontiere in egual modo, godere di diritti condivisi, quale quelli allo studio, all’accesso al lavoro ed ai concorsi in un clima di parità europea è stata quasi una panacea al mio torturato senso d’identità. Mi viene in mente uno stornello con cui sono cresciuta, detto in una famiglia alle prese con la perenne diatriba fra inglesi e scozzesi:  “se ti chiedono se sei inglese devi rispondere con orgoglio No! Sono scozzese!” Ma allora è un vizio.
Mi sono trovata ad Edimburgo al tempo del referendum sull’uscita della Scozia dal Regno Unito. La gente era per strada con grande orgoglio: cornamusa, kilt, brindisi con il whisky, chi voleva restare e chi no. Molti giovani scozzesi hanno votato per restare nel Regno Unito per la paura dell’isolamento e con l’idea di rimanere in Europa. Ma dov’è questo Regno Unito?!
La Scozia vuole nuovamente strappare la croce di Sant’Andrea dalla bandiera inglese come la Gran Bretagna ha strappato una stellina alla bandiera dell’Unione Europea?! Quella stellina in meno è un voto che abbassa la “qualità” dell’Unione Europea?  
I sostenitori del “Leave” hanno argomentato che la GB ha ricevuto meno fondi di quanto ne ha versati all’UE. Questo non è vero in campo artistico e culturale dove l’UE ha investito ingenti risorse per sostenere la crescita di giovani Europei, identificando nel Regno Unito un centro di scambio e di crescita delle iniziative culturali, artistiche e di ricerca. Purtroppo la situazione storica attuale vede la Gran Bretagna, similmente ad altri paesi europei, tormentata da paure che riguardano i profughi, i terroristi, i migranti, con il timore di un’invasione o di un controllo da parte di una forza esterna, che si tratti della burocrazia di Bruxelles o della violenza radicalizzata, spingendo verso la chiusura dei confini.
Mi hanno colpito le osservazioni di  un’esperta di scambi culturali con la Turchia, Elif Shafak, scrittrice di origine turca (1). Nel suo articolo Sognare in più lingue l’autrice descrive i legami culturali come onde che si spingono lontano, raggiungendo sponde sconosciute.
Elif Shafak sostiene che la letteratura e l’arte avvicinano i popoli. Scrivere e narrare in più lingue è il vero ponte fra culture. Nel suo articolo osserva come la mancanza di confronto tra diversi background culturali, etnici o religiosi e l’isolamento fomentano la xenofobia. “In presenza di un divario cognitivo tra “noi” e “loro” è molto più semplice fare generalizzazioni che alimentano la paura, i cliché e gli stereotipi. Per un essere umano, niente è più pericoloso del non sapere di essere intrappolato in una narrazione a senso unico. La prima cosa che le società non democratiche negano ai propri cittadini è la molteplicità.”(2)
Concordo con l’autrice che i legami culturali di qualsiasi tipo possono fare un’enorme differenza. “L’arte del raccontare” sostituisce l’unicità con la diversità. La cultura non conosce barriere, può raggiungere tutti, anche nei luoghi più isolati.  Con preoccupazione colgo le osservazioni di Elif Shafak sulla percezione che hanno alcune culture altre, tra cui anche la Turchia, sul mondo occidentale. In queste nazioni cominciano a sostenere che i diritti delle donne e della comunità LGBT, così come la libertà di parola, siano valori occidentali e non universali e senza libertà di pensiero, nessuna “democrazia” può essere davvero tale.
In questo contesto è la cultura che è diventata il terreno di battaglia di questo secolo, la prima ad essere attaccata. Ciò induce a fare delle considerazioni sui diritti umani. L’Europa ha contribuito non poco alla diffusione ed implementazione dei diritti umani negli stati membri, non ultimo il riconoscimento delle nozze gay. Senza una spinta europea non si sarebbero raggiunti alcuni obiettivi di garanzia dei diritti umani negli stati membri.
L’uscita della Gran Bretagna dall’Europa potrebbe indebolire la politica unitaria sui diritti umani. Tale preoccupazione si riscontra anche nella stampa inglese che, conscia del lavoro svolto e degli impegni assunti in campo dei diritti umani insieme agli Stati dell’Unione, sottolinea il rischio di un rallentamento del processo democratico portato avanti da un Europa non più tanto forte ed unita.

Christina Harrison

(1)British Council -  “Il Giorno Dopo” Il futuro delle relazioni culturali fra il Regno Unito e le altre nazioni Europee

(2) Elif Shafak – “Sognare in altre lingue”