…..Chi
si prenderà cura di voi? Forse un giorno sarete veramente accolte, senza
barriere di razzismo e troverete il conforto di una città amica.(Lucia
Mastrodomenico)
Ormai
fanno parte del viaggio che mi conduce al lavoro. Insieme ad un gruppetto di pendolari come me,
appartengono al mio viaggio, alla mia trasferta quotidiana sul treno che da
Napoli scende al Sud facendo tutte le fermate. Sono loro, le mie nere, come le
chiamo tra me e me la mattina quando salgo sul treno. Sono quattro o cinque, sempre
le stesse, ormai le distinguo nettamente. Si siedono incuranti degli sguardi frettolosi
degli altri che passano nel vagone. Parlano tra loro, ridono, si raccontano
guardandosi con complicità i loro fatti, a voce altissima, tanto nessuno le
capisce. Sono tutte abbigliate all’occidentale con preferenza per fuseaux e
giubbini colorati; a tradirle solo le pettinature con le loro treccine regolari
e precisissime o con le chiome lisciate e tinte con acidi scadenti. Guardano
continuamente nelle loro borse come se cercassero qualcosa di indispensabile
che regolarmente non trovano, e ridono. Anche i controllori le conoscono,
qualcuno le compulsa, qualche altro scambia una battuta. Anche io mi siedo
curiosa nel loro vagone per incrociare il loro sguardo e condividere il sorriso
o una caramella. In prossimità della stazione si rassettano, cacciano gli
specchietti controllano il trucco, all’arrivo scendono sospirando, come me.
Come
me, o forse inconsapevolmente, alla fine della corsa prendono atto che lo spazio
ed il tempo sospeso tra la partenza e l’arrivo è finito, che discese dal treno
le nostre cose ci attendono.
I
loro visi si contraggono, l’allegria dello spazio ristretto di un treno
svanisce.
Le
nostre strade si separano.
A
me attendono le infinite e complesse responsabilità gestionali che i servizi
sanitari comportano. La loro destinazione è la strada dove un “turno di lavoro”
dura l’intera giornata, dove l’unica preoccupazione è portare a tutti i costi alla
maman di turno i soldi richiesti.
Numerose,
come si vede oramai quotidianamente, giungono da paesi dove carestie e guerre
le spingono a cercare luoghi dove tentare un’esistenza possibile. Vengono
accolte da comunità che quasi mai rappresentano la società complessiva del Paese
che le riceve; da comunità dove lo iato tra comunità di origine, già slabbrata
da violenze e stenti, e comunità di ricevimento diviene terreno per sfruttatori
che spesso restano i loro unici interlocutori. Mancano politiche centrali
organiche; nelle maglie delle lentezze burocratiche prolifera la rete degli
sfruttatori che attua il suo progetto criminoso e remunerativo già allo sbarco
di queste donne inermi e già provate. D’altra parte i centri e le cooperative che
le accolgono spesso non sono preparati a riconoscere i segni dello sfruttamento
- come ci raccontano Piero Messina e Francesca Sironi in un loro interessante
articolo pubblicato nel 2015 su “L’Espresso” - che avviene così sotto i loro
occhi.
Recupero
e reinserimento dunque passano per la presa di coscienza che il problema da
affrontare non sia la prostituzione ma lo sfruttamento; solo se saremo in grado
di consentire loro un reale ed efficace percorso di autodeterminazione necessario
all’accesso nel paese in cui hanno scelto giocoforza di vivere, avremo la
possibilità reale di offrire una vera alternativa alla strada, come Lucia
Mastrodomenico ci ha testimoniato nel bel libro “Defilè” frutto di un progetto
con le immigrate della Comunità di Capodarco.
Domattina
le rivedrò, urlanti si siederanno scartabellando come al solito nelle loro
borse strapiene dalle quali talvolta
occhieggia lo stropicciato foglio di richiesta di protezione internazionale,
necessario strumento di immunità verso le forze dell’ordine. Incrocerò i loro
sguardi spavaldi e spaventati prendendo atto ancora una volta della incapacità
di noi tutti di guardare veramente l’altro\a nella sua umanità non così
dissimile dalla nostra eppure così ignorata al punto di non vederla neanche
più. “Eppure, forse, basterebbe farci
prendere la mano dall’amore.” (*)
Maria Vittoria Montemurro