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Personaggi senza dimora.


Uno è francese, un ispettore del fisco in pensione, di cui non si fa mai il nome, ma sappiamo che ha due matrimoni falliti alle spalle, un bell’appartamento nel 15° arrondissement di Parigi che, ormai, fa fatica a mantenere ed una mercedes usata, ma ben tenuta.
L’altro potrebbe essere un nostro vicino di casa. Anche di lui non conosciamo il nome, ma i soprannomi, quelli sì: Pizzangrillo, il nomignolo con cui da bambino lo chiamavano in famiglia e Zorro, quello che prenderà nel corso della storia. Viene da una famiglia comune, ha vissuto le comuni esperienze della crescita (la perdita precoce di un genitore, l’intenso rapporto con la madre e la sorella maggiore, Nadia, il tradimento di un amico nell’infanzia), è sposato ed ha un lavoro da impiegato.
Cosa hanno in comune?
Ad un certo punto della loro vita diventeranno entrambi senza dimora.
Il primo, il parigino, rientra a pieno titolo  nella categoria statistica delle “nuove povertà”. Sembra avere tutto, essere una persona integrata e rispettabile, ma la sua pensione, ad un certo punto non è più sufficiente a sostenere le spese dell’appartamento e quindi sceglie di andare a vivere nella sua mercedes. Affronta la nuova condizione di vita con un misto di sentimenti contrastanti che vanno dall’ebbrezza per l’avventura al senso del fallimento di un’esistenza. Si sforza, almeno all’inizio, di mantenere l’estetica della sua vita precedente, i segni della propria rispettabilità borghese (la cravatta, il nastrino dell’ordine al merito) e decide di lasciare traccia di sé attraverso un diario che scrive, di tanto in tanto, perché «se la storia [della propria vita] si presta a esser raccontata, vuol dire che ha una sua logica, che non è del tutto assurda». Farà due incontri significativi nelle sue peregrinazioni: Dominique, un’artista che se ne innamorerà e cercherà – senza successo – di fargli cambiare ancora una volta vita, e François, un clochard di lungo corso, la cui morte sul marciapiede segnerà – forse – il suo definitivo distacco dal passato.
L’altro, Zorro, una macchina non l’ha più, ma di giorno cammina incessantemente, la notte dorme nelle stazioni, mangia alla mensa dei poveri e, quando può, si lava al diurno. Anche lui aveva una vita normale, prima. Poi, in un giorno d’estate, investe con la propria auto Mario, il garzone di un benzinaio, il quale muore dopo qualche tempo a causa di complicazioni polmonari. Da lì i problemi con la giustizia, il trauma psicologico, il progressivo isolamento relazionale, il naufragio del matrimonio, la vita in strada.
La sua storia non l’affida a un diario: Zorro non scrive, Zorro ricorda e racconta. Il suo è un lungo, disperato, monologo che oscilla tra il suo presente di senza dimora ed i ricordi della sua vita passata, alla ricerca del momento in cui «il piano di cristallo s’è inclinato» e tutte le persone, il mondo di relazioni e di affetti della sua vita precedente è inesorabilmente scivolato via, indietreggiando, un passo alla volta.
Il pensionato parigino e Zorro, l’eremita sul marciapiede, non sono soltanto i protagonisti di due opere letterarie: una etnofiction ed un monologo teatrale (di cui riporto in calce – per chi fosse interessato/a – tutte le informazioni bibliografiche), ma la potente sintesi di due tipici percorsi di scivolamento nella vita in strada. Attraverso il loro sguardo disincantato ed il loro racconto, a tratti crudo, della quotidianità, si ha l’impressione di potersi calare per un’ora, come attraverso una soggettiva, nei pensieri di chi vive in strada  e tornare finalmente a riflettere sulla fragilità del vivere contemporaneo.

Ivo Grillo (sociologo)

Informazioni bibliografiche:
Augé, Marc (2011). Diario di un senza fissa dimora. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Mazzantini, Margaret (2004). Zorro. Un eremita sul marciapiede. Milano: Arnoldo Mondadori Editore S.p.a.