Non abbiamo poi quasi avuto bisogno di
rileggerla, quella pagina – dono vero inatteso e non il primo né l’ultimo.
Quelle righe intitolate Nutrimento,
ci sono rimaste in mente: hanno fatto presto in noi a diventare una voce – il
suono persistente di un modo speciale di sentire le cose, la traccia di un
rapporto serio ed intenso con il mondo.
“Una cosa
è certa: questi bambini desiderano, desiderano, desiderano” cominciava
Lucia. E alla fine, rivolgendosi a loro, ringraziandoli, terminava con un’altra
convinzione: “Di una cosa sono però
certa: non essere felice con voi è un vero sacrilegio”.
Tra la prima e l’ultima frase la descrizione di
un’esperienza semplice: di un’esperienza vera come tutte quelle che non
lasciano intatto e fermo chi le compie.
Allegramente, ma seriamente, Lucia descriveva
una delle attività sperimentali da lei svolte con alcuni bambini, presso l’Associazione “Lo Cunto de Li Cunti”.
Una esposizione e una riflessione, ma non solo.
Incorniciata da due certezze questa pagina è
anche l’elogio di un’incertezza, di un’incertezza salutare. Vi si parla della
necessaria perdita della padronanza, della coraggiosa deposizione dei saperi
acquisiti a cui accade che vada incontro chi si espone al desiderio –
all’eccesso, al mai abbastanza, alla curiosità infinita, alla passione di chi è
più vicino all’inizio della vita.
Il racconto è così la testimonianza del percorso
sorprendente apertosi condividendo il tempo, lo spazio, le cose con
l’instabilità vitale di alcuni piccoli corpi. “Non sapevo all’inizio: ora invece so il nutrimento che danno e spero
do”. I piccoli d’uomo, vicinissimi all’essenza della specie, mostrano e
ritrasmettono l’apertura, l’esposizione, l’irrequietezza fondamentale a cui
così spesso siamo pronti a mancare, pur sapendo che in verità è ciò che è più
prezioso – ciò che fa di noi degli esseri capaci di una reale comunicazione.
Così, come non percepire, in queste poche
righe, la voce stessa di Lucia, la sua
domanda sempre rinnovata – ora implicita, ora decisa – su corpi, persone,
eventi? E come non provare ancora, riascoltandole, quella specie di allegria
che fanno nascere tutti i segni tangibili della distanza superata, delle
barriere infrante, dei rapporti possibili, scoperti o creati?
Avvertendo in Lucia il calore persistente del
meglio di quel culmine storico rappresentato dalle esperienze esistenziali, teoriche, politiche, etiche
degli anni settanta, siamo stati in tanti a sentire, nell’incontrarla, nel
leggerla, un incoraggiante senso di prossimità. Le sue parole, il suo modo di
ascoltare hanno risposto ai dubbi e alle sfide con amicizia e discrezione: con
il rigore solido di un’incertezza conquistata, il cui segreto resta intatto.
Carmelo
Colangelo e Carmen Tomeo
(tratto da
“Lucia” interventi in occasione dell’incontro alla Mensa dei Bambini Proletari
– 30 novembre 2007)