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Stagioni.


«Non esistono più le mezze stagioni». Quante volte avremo sentito questo modo di dire per sottolineare una bizzarria meteorologica o un repentino cambiamento climatico. E quante volte avremo pensato che non solo non esistono più le «mezze», ma neanche le «stagioni» intere.
In effetti aspettare e riconoscere una «stagione» (che letteralmente significa una «fermata dell’anno») ha realmente senso solo all’interno di una concezione ciclica e lenta del tempo, piuttosto che in una lineare e veloce. E non solo l’anno conosce i suoi punti di svolta, anche la vita, la storia di tutti e di ciascuno, conoscono – almeno guardandole retrospettivamente – le proprie stagioni.
A queste Mario Rigoni Stern – grande amante della natura e del paesaggio alpino in particolare – ha dedicato un volume dal titolo, appunto, di Stagioni (Einaudi, Torino 2006-2008) in cui la narrazione dello scorrere ciclico delle fasi del tempo sull’altopiano di Asiago si fonde al ricordo di episodi storici e di vita vissuta. L’autore, noto al grande pubblico soprattutto per le sue vicende di Alpino e per il racconto della campagna di Russia, così racconta la propria nascita:
«Sono nato alle soglie dell’inverno, in montagna, e la neve ha accompagnato la mia vita».
Io, invece, sono nato in autunno, la stagione in cui i boschi di collina e di montagna – che amo particolarmente – sono più ricchi di fascino e di sfumature di colore.
«Tante cose nel corso delle stagioni la natura può insegnare a chi osserva; ma è nell’autunno che il bosco si fa leggere con chiarezza: lo sviluppo delle crescite annuali degli alberi, la maturazione dei frutti e delle drupe nel sottobosco e, magari, le brutte tracce del passaggio degli uomini incivili.
Dall’abbondanza delle squame e dei torsi degli strobili sotto le conifere possiamo intuire le famiglie degli scoiattoli acrobati sopra le nostre teste, da una rosso-bianca amanita muscaria sbocconcellata puoi supporre che un capriolo o un cervo l’abbiano ricercata per drogarsi. Forse potrai sorprenderti nel vedere un cerchio, o due cerchi a forma di 8 attorno a un giovane abete o a un faggio: è come un sentiero battuto e tutt’intorno l’erba è calpestata e anche strappata; qui, tra luglio e agosto i caprioli avevano fatto la giostra, ossia quando erano quasi pronti per l’accoppiamento maschio e femmina si erano insistentemente rincorsi emettendo dei fischi come sospiri amorosi. […]
È il momento magico del bosco, dei silenzi, delle albe nebbiose, dei colori smorzati verde-bruno-giallo in tante tonalità che a tratti una luce misteriosa rende evidenti nel sottobosco pre-invernale».

Ivo Grillo