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Pubblichiamo stralci  dell’intervento di Lucia Mastrodomenico al “Forum di Politica Sanitaria” organizzato dalla rivista  “Esperienza Scienza” nel febbraio 2005 (NdR)

Il mio contributo, da non addetta ai lavori, vuole offrire schematici spunti di riflessioni su tre questioni: la relazione medico-paziente; il medico in sé; la biopolitica.

La relazione medico paziente è  la prima questione da mettere in evidenza per assicurare il buon funzionamento di qualsiasi struttura sanitaria sia se parliamo di  poliambulatori o di ospedali. La relazione medico paziente è molto mutata nel corso degli anni; non è più quella tra il vecchio medico della mutua ed il paziente inconsapevole. Ciononostante quella relazione, nella sua evoluzione, presenta ancora problemi aperti. Ad esempio nella  relazione hanno preso il sopravvento le preoccupazione di tipo giuridico, formale. Anche a fronte del fatto che la  sanità è un prodotto tipico della cultura dei diritti formali. Il cosiddetto “consenso informato” da una parte garantisce che il paziente conosca vantaggi e rischi di un intervento, dall’altra applica una forma astratta di relazione che non tiene conto della disparità di una condizione di bisogno, trasformandosi in un atto burocratico che garantisce i medici da possibili rischi di provocare danni. Altro esempio è l’eccessivo ricorso ad una tecnologia spersonalizzata, in special modo nel settore diagnostico,  che astrae dall’essere concreto, quell’ uomo o donna in carne ed ossa, che si ammala.
L’attuale relazione medico paziente, seppur modificata  negli ultimi 3O anni,  resta un luogo di soggezione che si può riequilibrare attraverso un funzionamento migliore della democrazia, in particolare nel tutelare il diritto alla salute dei più deboli, rafforzando le associazioni ed i movimenti che limitano e controllano il potere arbitrario dell’istituzione sanitaria.

Il medico in sé: negli ultimi anni la tensione utopica dei medici si è molto affievolita; basta fare il raffronto con le lotte per la riforma sanitaria e per l’ammodernamento delle strutture sanitarie, tra cui spicca quella di Basaglia per la chiusura dei manicomi e la situazione attuale contrassegnata  dal predominio della tecnologia.  Alla luce dell’ insegnamento di quegli anni credo sia ancora fondamentale lavorare ad “aggregazioni”, il che significa collegamenti;  ad esempio, sempre più e meglio, tra ospedali ed i medici di base. Tra i tanti obiettivi dei medici non può essere dominante il contenimento  della spesa sanitaria, ospedaliera ma anche lo scambio di competenze per incoraggiare “una modifica della cultura della malattia”che incoraggi ad esempio a curare i pazienti a casa.
Se la malattia non deve essere più segregata in ospedale sono necessari vari supporti per raggiungere “una gestione modificata della malattia “ che veda il pieno coinvolgimento del  medico, dell’infermiere, del fisioterapista,  dell’ assistente sanitario. Un lavoro di squadra che porterebbe ad una cambiamento di civiltà, nel rispetto di chi soffre

La Biopolitica: quello che appare, a chi come me è al di fuori del contesto,  e che è vissuto invece  da chi opera nei servizi sanitari non è la crisi della medicina bensì una crisi che si riferisce all’ identità del medico. Non più demiurgo, non più solo amministratore della salute, data la moltitudine di figure mediche e non;  la lettura del contesto deve tenere conto di questa frastagliatissima realtà in cui si deve trovare insieme una strada utile. Dico utile perchè i soggetti oggi sono più di due, oltre al medico da una parte ed il paziente dall’altro, c’è il contesto del medico e il contesto del paziente, contesto sociale, contesto politico.
La politica diviene centrale anche nella relazione tra medico e paziente:se il lavoro è di squadra, se i contesti sono minimo due, anzi tre se ci aggiungiamo quello politico sanitario, occorre che vi sia consapevolezza nelle scelte e trasparenza nella comunicazione.  In rapporto alla sanità si tratta di capire di quale politica parliamo; definire l’ambito  politico  in cui agiamo  significa attualmente parlare di biopolitica. Biopolitica significa l’ ingresso della vita biologica nei calcoli e nei meccanismi del potere, significa che l’ assunzione della cura, della malattia, della stessa prevenzione, fa parte degli stati moderni e va di pari passo alla possibilità di autorizzarne lo sterminio e il fallimento. Il nostro privato corpo biologico è diventato indistinguibile dal nostro corpo politico.
La separazione tra vita e politica non è possibile, così come  non è mai stata possibile la divisione tra casa e città. Le donne tutto questo lo sanno bene, ed hanno in merito una competenza il cui  beneficio è di tutti,  allarga la cura domestica a quella della città, dei servizi con tratti distintivi di qualità e di buon funzionamento. E’ questo che si chiede ai servizi sanitari: buon funzionamento e qualità, rispetto della dignità umana e  prendersi cura delle persone.


Lucia Mastrodomenico (febbraio 2005)