testata registrata presso Tribunale di Napoli n.70 del 05-11-2013 /
direttore resp. Pietro Rinaldi /
direttore edit. Roberto Landolfi

Primo Premio “Lucia Mastrodomenenico” 2018


L’arte di essere felici

Il piccolo Charlie Brown ha paura di essere felice «perché ogni volta che si diventa troppo felici, accade sempre qualcosa di brutto».  Una deduzione più che ragionevole per un sognatore disilluso come il minuto protagonista de I Peanuts e qualche ingenuo in un eccesso di leggerezza potrebbe anche arrischiarsi a dargli ragione. Perché in fondo cos’è la felicità se non una semplice meteora? Fuggevole e vaga, questa incantevole chimera strega l’uomo e lo rende impotente, fragile anima assorbita solo dal desiderio di agguantarne una manciata e allo stesso tempo annichilita dal terrore di lasciarsela sfuggire. Eppure che tipo di persone saremmo se lasciassimo alla paura la facoltà di governare le nostre azioni e aspirazioni? Come sostiene infatti Holbrook Jackson: «la felicità è una forma di coraggio». Mai affermazione fu più saggia. La felicità è un bene di cui tutti hanno sentito parlare almeno una volta nella vita, pochi giurano di averla vista e ancor di meno sono gli intrepidi che affermano di averla assaporata. Che sia un mero inganno o una consapevole utopia, poco importa, la razza umana ci crede e tanto basta per renderla reale. Veniamo al mondo come anime nude e sconsolate e nonostante ci troviamo sguarniti dinanzi a un fato imprevedibile e mutevole, abbiamo abbastanza coraggio da essere capaci di rischiare di conoscere il dolore più profondo per meglio apprezzare la pura felicità. Essa va ricercata nel calore dell’abbraccio di una madre, nel pianto di un bimbo appena nato o nella lettura di un buon libro. Ma felicità è anche sollievo, è quel «piacer figlio d’affanno» tanto caro a Leopardi. Felicità è anche fare ritorno in un porto sicuro al termine di una tempesta, sopravvivere a un terremoto e finire una guerra. Perché «la felicità», come scrive sapientemente Paulo Coelho, «è quella cosa che si moltiplica nel momento in cui viene condivisa».
Aristotele nella sua Politica aveva definito l’uomo un «animale sociale» e oggi, a distanza di secoli, questa definizione è ancora calzante. Nel corso della storia l’uomo si è rassegnato alla sua impotenza e solitudine nei confronti di un futuro ignoto, ma è stato abbastanza acuto da comprendere che il miglior modo di essere soli, è esserlo insieme. Quando gli uomini soffrono cercano disperatamente qualcuno con cui spartire il peso del dolore e quando invece riescono a trovare anche il più piccolo scampolo di felicità non possono fare a meno di condividerla. Nella sua fredda imparzialità la dea bendata non concede favoritismi e non scade nel garantismo e non aveva quindi torto Renard nel sostenere che se provassimo a disegnare la felicità ci apparirebbe come una casa vuota con un’immensa e affollatissima sala d’attesa. E dunque forse è vero che l’amore non è un diritto e che la felicità lo è ancora di meno, ma a tutti è concesso di perseguirli e questo è l’unico diritto che conti davvero. Come talvolta il viaggio conta più della destinazione così anche la ricerca della felicità è quasi sempre più importante della felicità stessa perché in fondo, come scrive Antoine de Saint-Exupéry: «è il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante».

Paolina Palmisciano (Liceo Vico)

Motivazioni della Commissione Esaminatrice
Nel racconto si legge, tra l’altro : “che tipo di persone saremmo se lasciassimo alla paura le nostre azioni e aspirazioni?.... Come talvolta il viaggio conta più della destinazione così anche la ricerca della felicità è quasi sempre più importante della felicità stessa”. L’autrice è riuscita a descrivere, con frasi semplici,  ma efficaci,  il “senso” della felicità individuale e collettiva.

 

la vincitrice del Primo Premio “Lucia Mastrodomenico”2018 Paolina Palmisciano
con la presidente di “Madrigale per Lucia ONLUS” Maria Vittoria Montemurro