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Il Progetto “NOW”


Nel gruppo di lavoro del Progetto “Now” siamo stati insieme circa due anni, insegnanti ed alunne, alcune/i come Maria, Enza, Nicola, Samanta, Mauro, tutti i giorni. Altre, come me e le tre sarte, due volte la settimana. Abbiamo trascorso molte ore insieme. Tante le difficoltà di linguaggio, di comportamento, di abitudini, tantissimi i conflitti. ; molte le dinamiche relazionali tra loro (tra quelle provenienti dalla Costa d’Avorio e le Nigeriane, tra le mussulmane e le cattoliche) e tra loro e noi. Le richieste di molte, d’aiuto continuo, che sempre e comunque dovevamo essere in grado di fronteggiare, è stato un ostacolo alla reciproca fiducia. C’è in loro la convinzione che noi possiamo, se vogliamo, superare ogni ostacolo burocratico, economico, amministrativo. Una storia di affidamento oltre misura che andava ridimensionato; il rispetto delle regole, dei principi, dei tempi, che andava compreso, condiviso.
La prima cosa che mi colpì, venendo ad Aversa, per le riunioni preparatorie al corso, furono i tanti migranti incontrati nel treno, per le strade, nella stazione. Mi sono subito chiesta come poteva essere la convivenza tra gli abitanti del paese e questi ospiti.  In questi due anni di lavoro, come docente in entrambi i corsi (lingua e cultura italiana, taglio e cucito) ho capito alcune cose e su molte altre mi sono interrogata insieme al gruppo che con me ha portato avanti questa esperienza, ogni giorno, tra non poche difficoltà. La prima questione, ritenuta fino a qualche tempo fa relativamente semplice è : che cosa significa convivenza di culture e quali sono i problemi specifici che ne nascono. Secondo un modello più convenzionale si pensava che il problema si risolvesse con una possibile, inevitabile, assimilazione degli immigrati alla nostra cultura. Ancor più la convinzione che non esistono culture avvantaggiate e culture svantaggiate; esiste cioè un incontro tra culture, non più concepibile come sola assimilazione, ma come scambio, tolleranza, reciproco interesse. Era chiaro che l’ipotesi che tutte le varie culture, industriali o meno, siano portatrici di uguale dignità e di pari valori si è rivelata un’ipocrisia.   
È molto difficile che alcune africane del corso, per integrarsi, siano disposte ad abbandonare la loro tradizionale etica solidaristica su base familiare e di “clan” per subordinare la loro condotta personale ad una serie di principi pubblici (cioè non familistici né feudali né basati sull’idea del privilegio). Inoltre qualsiasi operazione di assimilazione  culturale, e non solo culturale (penso al lavoro) è possibile quando le condizioni culturali e di offerta di partenza, del luogo dove vivono le/gli immigrati, non sono già di per sé sfavorevoli. Aversa è un territorio dove esiste un tasso di disoccupazione molto alto, la camorra che controlla il territorio, un’alta diffusione di microcriminalità e tossicodipendenza. L’intolleranza, quando viene fuori, è anche dovuta al fatto che esiste una guerra tra poveri. Il lavoro è difficile trovarlo per i giovani del luogo e per gli immigrati africano. La solidarietà nasce in molti casi dal dover combattere un’uguale lotta. La discriminante è data  dalla soglia dei livelli di umiliazione che si è disposti a subire per avere quello che appare un privilegio e che non è altro che uno dei più piccoli ma fondamentale diritto umano: il diritto al lavoro. L’immigrato/a trova lavoro perché si lascia sfruttare oltre misura, trova un posto dove abitare perché  si accontenta di tuguri pagati a prezzi esorbitanti. Ciononostante vive ai margini e non riesce ad integrarsi. Inoltre non esiste “l’insieme degli immigrati”. E’ necessario intervenire con decisione sul mercato del lavoro. È necessaria sia una regolamentazione normativa del fenomeno migratorio, sia una testimonianza ed un lavoro civile, una battaglia politica affinché si sancisca che la precarietà non né la condizione strutturale degli immigrati come degli italiani poveri. 
Sono falsi gli stereotipi cuciti addosso agli immigrati, ci si aspetta da loro che possano solo pulire i vetri delle auto ai semafori, ma tanti di loro hanno un livello alto di istruzione e tantissime potenzialità inespresse, come hanno dimostrato anche le donne partecipanti al nostro corso “Now”.
Loro e noi sappiamo che solo il lavoro può emancipare veramente, è l’unica possibilità che può fornire valide alternative al degrado ed alla vita disperata delle/degli immigrati che vivono nella zona di Villa Literno e del Casertano.
Sono convinta che esistono tra gli uomini e le donne (bianchi neri o gialli) i buoni e i cattivi; gli intelligenti e gli stupidi; quelli disposti ad imparare  e quelli che non lo sono. 

tratto da – Lucia Mastrodomenico “Défilé” – Ed. L’Ancora del Mediterraneo -1999