Dopo aver raccontato la storia di “Enzuccio”, piccola salumeria che resiste nell’universo dei supermercati, ecco “Di Donato”, piccolo e resistente bar.
A pochi passi dal frastuono della trafficatissima via Mezzocannone, la via degli studenti, a ridosso di una delle solite quanto inaspettate piazzette di cui Napoli è piena, all’ombra degli storici edifici universitari c’è un piccolo bar dove non capiti per caso ma lo devi proprio conoscere: il bar Di Donato. Il destino nel nome, dicevano i latini, ed in questo caso più che mai vero. Il bar è piccolo ma “accunciulillo”, il bancone con la vetrinetta del servizio caldo, le bottiglie di liquore disposte ordinatamente sulle mensole immacolate, le tazze fumanti sul vapore della macchina del caffè. Il proprietario ti accoglie con un sorriso bonario, la lingua resa incerta dagli anni, che però non impedisce un linguaggio appropriato, colto. Prepara un ottimo caffè con la migliore miscela napoletana: “Sa- dice- ci tengo alla qualità delle cose che preparo anche se costano un po’ in più”.Mentre sorseggi l’ottimo caffè puoi notare sugli scaffali delle bottiglie di liquore tantissime piccole bomboniere di laurea; sono i confetti che gli studenti che si sono laureati gli hanno portato in segno di affetto e di attenzione per colui che quotidianamente ha condiviso con loro i momenti dello studio universitario, fosse anche con un cappuccino su cui piangere o un cornetto con cui festeggiare.
Sugli sgabelli del bar puoi trovare una copia di “La repubblica”, che compra quotidianamente, forse quale baluardo simbolico di una sinistra demodè e sempre più afona in un tempo di contemporanea rumorosità e globalizzazione. La sua cifra non è quella del radical chic, piuttosto quella di chi crede ancora profondamente ad un mondo fatto di persone e ad una vita fatta di relazioni.
Lo guardo mentre mi prepara il caffè, se vuoi è un gradevolissimo conversatore, attento, non invadente ma non per questo non incisivo nella discussione e sagace nei commenti che denotano un lettore assiduo ed un profondo conoscitore dell’arte di cui il piccolo bar è attorniato.
Il caffè è preso, anche un piccolo cioccolatino. Ci si saluta, con l’augurio di rivederci presto.
All’uscita l’occhio assuefatto alla penombra del locale è investito dalla forza della luce e dalla bellezza del luogo circostante, decadente e magnifico. Mi accingo ad attraversare la strada e non posso fare a meno di notare, proprio alle mie spalle uno di quei bar di cui oramai è piena la città, tutti uguali, tutti con le stesse sedie e tavolini, con la stessa cassiera che con improbabili unghie cerca di fare lo scontrino dal tablet, naturalmente con uno degli occhi sempre fisso al cellulare. Ripenso al bar piccolo, dove ho preso un ottimo caffè e conversato piacevolmente, alla sua minorità come strumento forse inconsapevole di resistenza, a quell’esercizio di libertà reso possibile dalla relazione con gli altri, fosse anche nella semplice quotidianità di un caffè.
Maria Vittoria Montemurro