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La libertà ed il non ritorno


Dalla libertà non si torna indietro. Sono accadute delle cose. Una seconda soggettività - quella di una donna - che legge ed attraversa la storia. Una seconda soggettività che ci da un senso di spaesamento perché niente è più come prima, generando  timore sia nell’uomo che nella donna. 
Le donne dimenticano il legame soggettività e libertà: a quella libertà subentra una forma di restaurazione che allontana il perturbante storico che ad essa si accompagnava. Tuttavia una restaurazione non può che girare intorno alla libertà che si è annunciata e, pur facendo fare un passo indietro alla libertà, continua oscuramente ad indicarla.
Una volta  accaduta, così come è accaduta nel novecento, la libertà femminile è stata  promessa collettiva, non solo è indimenticabile, ma non ha dimensioni individuali. Questa epoca non può dimenticarla. Tutto ciò che viene messo al posto della libertà non la tradisce, ma al contrario obbliga a tenerla lontana e, paradossalmente, non fa che ricordarla.  Su questa linea si muove il desiderio di sciogliere i timori verso una estraneità nata con la stessa libertà femminile e che si orienta in due direzioni: una è il modello neutro e dell’emancipazione; l’altra è la differenza  percepibile solo attraverso  attributi femminili.
La libertà e la soggettività non hanno nulla a che fare con gli attributi. Una soggettività femminile è tale quando non si dice per una lunga solfa di aggettivi al femminile, o per tendenze tipicamente femminili, o per altre aggettivazioni che provengono dal vivere le nostre esistenze. Esistenze in cui ci scopriamo quali: vegetariane, musulmane, cristiane, bianche, animaliste, tatuate etc .Questi attributi che creano alcune differenze tra noi non ci hanno consentito altro che diventare consumatrici di nuove fette di mercato che includono attributi.
La restaurazione in ogni caso ha ugualmente cambiato  la vita di molte donne perché non è stato più possibile fare un passo indietro rispetto all’emancipazione. Alcune donne hanno acquisito una consapevolezza di sé che non si costruisce solo in una competizione con gli uomini, ma in una spinta autorealizzativa. Inoltre nel lavoro e negli affetti molti degli attributi femminili hanno potuto vivere e conferire una specifica competenza dell’esserci. Ma soprattutto, sia nell’aspetto emancipativo come nella polifonia degli attributi, la libertà continua a circolare, continuerà a capitare.  
Se una donna siede su un trono come maestra e il sovrano la sta ad ascoltare,  bisogna domandarsi che cosa è in gioco tra i due ma anche cosa significa per noi questa rappresentazione. Capiamo che schierarsi per il modernismo rappresentato dal re del Marocco significa per la maestra una possibilità di mediazione. Si riduce il conflitto tra uomini e donne per il raggiungimento di una riforma che modifica il diritto  di famiglia.  Ciò che ci appare è che il mondo musulmano apre ad una dimensione che può consentire una nuova gestione della società in cui nella famiglia si determina una riduzione della “patria potestas” musulmana.  L’esercizio di un potere maschile all’interno della famiglia risulterà più concentrato e più limitato, con la conseguenza per le donne di far si che, attraverso una mediazione con il maschile, possa essere raggiunto il bene comune. 
Che cosa sia la libertà femminile in quel luogo non riguarda direttamente noi; in quel luogo può essere compresa a partire da alcuni vantaggi che ne derivano, anche se la libertà non è il vantaggio. Restiamo affascinate per via della forte individualizzazione della  figura della maestra. Il quadro è quello del potere sovrano che è simbolico, dotato di contrassegni,  ritualità e ripetizioni di queste. Questo potere avvolge le esistenze umane saltuariamente, ogni tanto, per atti di sottomissione, per scambi simbolici e rare contrattualità. Ne siamo affascinate perché, al contrario, le nostre vite sono continuamente inserite in procedure di controllo, esame e di verifica.
Oggi, (per Angela),  ci troviamo inserite in relazioni di potere che non sono includibili in quelle sovrane e, d’altra parte,  si tenta di sottrarre la libertà femminile da queste realtà più complesse  che vedono al centro delle preoccupazioni della politica fenomeni che concernono la vita. Può essere una strategia accorta scivolare o risvegliare procedure di sovranità per creare un’opposizione, una resistenza, uno spazio altro, ma forse la libertà è sempre un evento che si origina dove vi è una realtà che non si può mettere da parte.  
La visione della foto (nella quale sono rappresentati il sovrano e la maestra NdR)tuttavia (suggerisce Lucia), suscita la possibilità di una riflessione, cioè a dire, se siamo in grado di aprire uno spazio dentro di noi, in cui non si parli di donne di altri paesi con un’ottica di chi ha acquisito più o meno libertà. L’opportunità è quella di rompere visioni stereotipate della libertà femminile, predisporsi ad una libertà modificatrice di se, che solo la relazione con l’altra, nella grande distanza e nella grande vicinanza può rendere possibile. Il volto di molte musulmane è visibile solo se il velo viene sollevato, il nostro di occidentali emancipate e’ visibile solo se copriamo il resto del corpo. E lo sguardo non e’ forse la prima originaria traccia dell’anima che si mostra al mondo? Ma se il nostro mondo e’ tanto distratto, Aisha, la maestra,  sarà costretta a mettere il velo per cogliere la nostra attenzione? Aisha “vive” in quella foto, perché ha consentito a noi e a quelle che l’hanno conosciuta direttamente, di entrare in relazione con lei.

Con Angela Putino abbiamo preparato un intervento sulla libertà femminile per un seminario a Gubbio organizzato dall’associazione Libera Mente.  Le ho chiesto di riflettere di nuovo con me sull’argomento. La trascrizione e la revisione sono di Maria Vittoria Montemurro.
Lucia Mastrodomenico  (2005)