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I limiti


In questi giorni scopriamo che la maggior parte dei casi di persone affette da coronavirus in Italia, sono concentrate nelle regioni dove la sanità funzione meglio, dove sono presenti i migliori ospedali (e cliniche private), la migliore sanità territoriale: la Lombardia ed il Veneto. 
Sarà un caso che, il virus di cui tanto si parla, colpisce proprio le regioni dove la sanità funziona meglio? Sarà un caso che l’influenza colpisce e terrorizza più il nord ed altre patologie trasmissibili (ad esempio il colera) più il sud? Non sappiamo. La stragrande maggioranza degli studi e delle ricerche scientifiche, quasi mai prendono in esame l’influenza (termine che ritorna) della causalità. Se ne tiene poco conto. 
Nella recente epidemia, stiamo assistendo ad uno scenario che mette, ancora una volta, in evidenza, i limiti della scienza. Senza però che nessuno degli scienziati, degli esperti, dica una parola chiara sui limiti attuali della scienza, della medicina. Per uno scienziato o per un medico ci vuole coraggio a rispondere, alle tante domande cui vengono sottoposti, semplicemente: “Non lo sappiamo”.
Quanto ne sappiamo sulla diffusione del coronavirus che, nel mondo, sta disseminando più terrore e più danni, in termini sociali, sanitari, economici, di tanti altri flagelli? Forse poco o quasi nulla. La conoscenza procede per gradi, s’impara dall’esperienza e dagli errori che poi vanno corretti, come ci ricordano gli epistemologi.
Eppure assistiamo ad una specie di gara, per essere presenti sull’argomento: 
- gli organi d’informazione: web, radio, TV, giornali, che ci inondano d’informazioni in base alla semplice equazione: più paura, più ascolti, più pubblicità, più profitti;  
- eminenti scienziati e medici che forniscono pareri e consigli, alle volte anche contraddittori fra di loro. I più frequenti sono quelli che ormai conosciamo tutti: lavarsi spesso le mani, starnutire nel gomito (sic!) etc. Mai nessuno che dica: al momento ne sappiamo poco, restiamo vigili ed attenti sull’argomento. Le nostre conoscenze migliorano giorno dopo giorno; prendiamo le dovute precauzioni ma non blocchiamo le relazioni tra le persone. 
Il virus si trasmette attraverso l’aria: possiamo non respirare? No, ma possiamo evitare i luoghi affollati, senza per questo però rimanere bloccati a casa. Gli anziani, persone che trascorrono, in gran quantità, il maggior tempo delle loro giornate, in casa, l’influenza la prendono, eccome.
Leggendo i dati pubblicati su “Epicentro” portale di epidemiologia dell’Istituto Superiore Sanità scopriamo qualcosa di molto interessante. Il portale registra i dati sulla diffusione delle sindromi influenzali dalla 42° settimana del 2019 alla 17° settimana del 2020 (fine aprile per intenderci). Nella 7° settimana (dal 10 al 16 febbraio) sono stimati in Italia 656.000 casi di sindrome influenzale, di cui 157 gravi e 30 morti. Indicatori quindi, in termini di sanità pubblica, ben più significativi di quelli ascrivibili alla sindrome da coronavirus. La comune influenza produce migliaia di morti, ogni anno, in Europa; da 8000 a 12000 morti negli USA a secondo dell’andamento delle epidemie. Perché solo ora tanta attenzione? 
Perché dunque ci si preoccupa così tanto del coronavirus e meno della sindrome influenzale? Va bene la fisiologica preoccupazione ma attenzione a non trasformarla in panico, in psicosi. A non trasformare il dibattito sull’attuale epidemia, in una psicotica gara nella quale si cimentano: - organi d’informazione, contenti che l’audience dei loro programmi cresca;  - politici, pronti a dimostrare che stanno lavorando per il bene comune,  ma col rischio d’imporre solo divieti e blocco di attività varie; - ricercatori e medici, i quali  hanno imparato che i messaggi più o meno catastrofici pagano molto di più di quelli tranquillizzanti. Come dire, meglio mettere le mani avanti; meglio dire “ve l’avevamo detto che la situazione era grave”.  
Il fenomeno coronavirus, come tutte le epidemie influenzali ha avuto un inizio, sta avendo un picco, avrà una sua regressione che coinciderà probabilmente con l’avvento del caldo, con il finire della primavera. Adesso ci siamo dentro, prendiamo tutte le precauzioni del caso, ma facciamo sì che non prevalga il panico, una vera e propria psicosi collettiva capace di influire nelle relazioni tra le persone. Relazioni già così difficili, già così complesse, in questo primo ventennio del duemila, nel quale ci stiamo abituando a vedercela con uno schermo più che con i  corpi delle altre persone. 
Per chiudere con una nota di ottimismo vi racconto un episodio che mi è capitato: un mio amico, operatore turistico, ha fatto questa previsione: la prossima sarà un’estate molto buona per il turismo in Italia: diminuiranno i viaggi all’estero e gli italiani faranno dunque vacanza in località vicine; aggiungendo poi, con un certo sarcasmo: “voglio proprio vedere chi avrà il coraggio di andare in crociera quest’estate!”

RL