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Il ventennio


Di solito quando si legge “il ventennio”, si pensa al nefasto ventennio del 900, periodo nel quale andò al potere, in Italia, il fascismo. Fascismo significa innanzitutto privazione della libertà. Quindi giudizio negativo e basta, senza altri commenti. 
Non è sul ventennio del 900 che vogliamo riflettere in questo scritto, ma sui primi vent’anni del 2000, ormai alle nostre spalle.
L’occasione ce la fornisce il 53° Rapporto Censis che analizza il ventennio appena concluso. Il Censis fa il bilancio degli anni dal 2000 al 2020, anni in cui avanza l’incertezza e si è delineata la “Società del Rancore”. Una società cioè  incapace di metabolizzare il lutto per le grandi aspettative non mantenute, dopo la caduta del muro di Berlino ed una globalizzazione mai realizzata.
Lo spartiacque è stato il 2007. Dopo il 2007 la grave crisi economico-finanziaria che si pensava avrebbe interessato solo gli USA ed invece è stata globale, ha determinato impoverimento e  disorientamento di ampi strati della popolazione in Italia e nel resto d’Europa. Oggi ne deriva una  società che il Censis definisce  “del rancore” nella quale il lavoro, sempre più flessibile, è divenuto generatore di disuguaglianze.
Negli ultimi 5 anni si è verificata una ripresa occupazionale (300.000 occupati in più rispetto al 2007). Ma a fronte del forte incremento del numero di occupati, la gran parte dei posti di lavoro sono precari con un aumento del 40% del part time. Il paradosso è stata la ripresa occupazionale senza crescita dell’economia (stagnazione o PIL + 0.1%).
Infatti la ripresa occupazionale è stata caratterizzata da : basso numero di ore lavorate; bassi salari; precarizzazione del lavoro. Ne consegue che il lavoro non ha più avuto la forza del riscatto sociale. Sono aumentati i fenomeni di erosione del ceto medio; sono aumentati dunque  fenomeni quali la paura ed il senso d’incertezza.
Nel ventennio delle grandi narrazioni si è verificato un fallimento delle riposte maggiormente attese. Partiamo da tre esempi. Tre grandi narrazioni.  Il fenomeno della globalizzazione:  ha mostrato svantaggi superiori ai vantaggi.  Il fenomeno internet:  ha comportato un grande sviluppo della comunicazione e della conoscenza  che si presenta però solo superficiale, mentre nel contempo ha infranto la privacy ed ha aumentato la solitudine; di fronte a noi c’è sempre più spesso uno schermo e sempre meno una persona in carne ed ossa. Il terzo esempio è l’Unione Europea : si è passati dall’allargamento ai paesi dell’est del 2004, alla Brexit che si sta consumando in questi primi mesi del 2020.
Ne consegue, dicono i ricercatori del Censis, un ripresa del nazionalismo, finalizzato ad intensificare le identità nazionali; nazionalismo introflesso, esatto contrario della globalizzazione.
Viviamo nell’era che si può definire “biomediatica”, nella quale  ciascuno crea i contenuti della propria comunicazione,  con conseguente frammentazione dell’immaginario collettivo; vent’anni fa avevamo un immaginario collettivo compatto con valori condivisi; oggi, a fronte di identità individuali sempre più marcate,  non si sa più qual è l’identità collettiva.
Ad esempio nel 1990 :
-       La casa era il principale investimento, al giorno d’oggi lo è sempre meno : si è passati dagli 800.000 atti di acquisto annui agli attuali 400.000.
-       Si investiva nei BOT ( che arrivarono a dare interessi fino al 10%); oggi non s’investe più.
Attualmente :
-       Si risparmia molto di più : le famiglie detengono in Italia 1000 miliardi di euro (sesta economia della UE dopo quella pubblica di Germania, GB, Francia, Italia, Spagna);
-       nei primi 20 anni del 2000 abbiamo consumato non solo grandi narrazioni,  ma anche fondamentali pilastri di rassicurazione, come case o investimenti.
-       È venuto meno il welfare pubblico, per carenza di risorse; non copre più i bisogni sociali per problemi di sostenibilità finanziaria.
Venuti meno il mattone, gli investimenti finanziari, il welfare pubblico,  rimane solo la liquidità. Avere soldi fermi in banca (o sotto il materasso) serve, alle famiglie italiane,  a tenere calmi i nervi.
Anche le famiglie sono cambiate; sono divenute sempre più piccole; si è perso il sostegno familiare. Negli anni 90 la famiglia aveva un ruolo importante: cura delle persone, sostegno degli anziani. Oggi le famiglie sono sempre più piccole, aumentati i single, la denatalità. La famiglia ha perso la sua caratteristica peculiare:  non è più un sostegno mentre aumenta la solitudine.
I ricercatori del Censis ci aiutano poi a riflettere sul frutto avvelenato della crisi : la perdita della cultura del rischio, la perdita della propensione al rischio (calcolato).
Nel 2020 il rischio si identifica con l’azzardo. Eppure la molla dello sviluppo, nell’Italia del dopo guerra, è stata proprio la propensione ad assumere rischi.
Oggi assieme alla crisi del welfare, è venuta meno la cultura del rischio. Riprendere e diffondere la propensione al rischio è la piattaforma per la ripresa.

RL