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Apocalisse e Amore


Matteo Zuppi,  da cinque anni arcivescovo di Bologna, è stato nominato sei mesi fa cardinale. Una vita in seno alla Comunità di Sant’Egidio ad aiutare i bisognosi e fare pace là dove sono in corso le guerre. Il cardinale Zuppi  è stato intervistato da Wlodek Goldkorn per l’Espresso (n.12 del 15 marzo 2020). Riportiamo alcuni tratti dell’intervista pensando che le sue parole possano  rappresentare un genere di conforto per i nostri lettori (NdR)

Wlodek Goldkorn (WG) : Come cambia l’amore ai tempi dell’apocalisse?
Matteo Zuppi (MZ) : L’apocalisse mette alla prova l’amore, perché è facile voler bene quando le cose vanno bene, quando il Male è solo un’ipotesi teorica e l’abitudine o un ottimismo ingiustificato fanno credere che le cose capitino sempre agli altri. Ma quello è amore fragile, talvolta avaro perché l’amore vero si misura con il suo contrario: il Male e si misura sempre. Per me, l’amore vero, quello che si manifesta nella natura e nell’esperienza più importante degli umani è quello del Vangelo, capace di dire: ama i tuoi nemici. Ci sono discorsi apocalittici di Gesù, per esempio quando viene detto che il discepolo si troverà davanti alle prove. E poi c’è il libro dell’Apocalisse, scritto da San Giovanni, dove si parla di flagelli che vediamo oggi davanti ai nostri occhi: sconvolgimenti di natura, stelle cadenti. Mi ha chiesto se è possibile amare ai tempi dell’apocalisse. Ecco, io sono convinto che l’amore sia l’unico modo per vivere nell’apocalisse.
WG : La sua è una posizione da cristiano, uomo della Chiesa. Non tutti però siamo cristiani e neanche credenti. Per me, da non credente, è la memoria degli sconfitti l’elemento chiave della salvezza. Per lei è una posizione accettabile?
MZ : Guardi che Gesù sta dalla parte dei vinti. Dice;”Beati gli afflitti”. Pare un assurdo, chi è afflitto soffre. Ma saranno consolati. Nel Vangelo c’è la scelta degli ultimi, perché gli ultimi sono le prime vittime delle tante apocalissi, del mondo che si distrugge, che sconta la forza del Male. Papa Francesco dice che le cose si capiscono dalle periferie, con lo sguardo degli ultimi.
WG: Sta descrivendo un Gesù laico?
MZ: Certo. Gesù è molto laico. Parla delle categorie umane. Ovvio, esiste la fede che riconosce in Gesù il figlio di Dio, ma poi c’è una lettura di Gesù laica. In questa lettura ci sono riferimenti in cui i credenti e i non credenti si possono trovare d’accordo.
WG: Vorrei chiederle se l’amore è apertura agli altri, agli sconfitti, ai migranri.
MZ: Al prossimo.
WG: Chi è il prossimo?
MZ: E’ un’indicazione senza categoria specifica. Lo insegna Gesù nella parabola del Buon Samaritano. Il mio prossimo è l’altro. Punto. 
WG: La carità è un dono volontario, come l’elemosina, per i diritti si lotta invece con la consapevolezza che l’altro è esattamente come me.
MZ: Infatti l’altro è come me. Fai agli altri quello che vuoi si faccia a te. Il Vangelo lo possiamo interpretare anche come un messaggio che dice: se dai i diritti avrai i diritti, reciprocità assoluta. Se fai carità avrai misericordia. Il problema nasce quando riduciamo la compassione o la carità a un gesto unilaterale e che guarisce la ferita ma non cura le cause. E la Chiesa lo ha fatto per molto tempo, troppo tempo. La compassione e la lotta per i diritti sono complementari. Compassione è farsi carico di una situazione. I combattenti nel ghetto hanno combattuto il nazismo e il razzismo non solo perché non gli piaceva l’idea. Ma hanno detto: il razzismo non può essere tollerato perché ne abbiamo visto le conseguenze. E poi, mi creda. Conviene investire nella compassione perché siamo tutti fragili.
WG: Se non siamo comunità è difficile essere solidali con malati, con i detenuti, con gli ultimi?
MZ: Se siamo delle isole, penseremo solo alla nostra isola e cercheremo di difenderla, di evitare che qualcuno entri, non desiderato. Però l’uomo non è un’isola, come diceva Thomas Merton. È una tentazione del Male ridursi a un’isola.
WG: Come conciliare allora l’appartenenza alla comunità e cittadinanza? La cittadinanza è laica, la comunità però spesso per la Chiesa significava comunità cristiana.
MZ: Potrei citare “La lettera a Diogneto”, uno dei primi documenti dei Padri della Chiesa. Cosa è un cristiano? È cittadino di un Paese ma anche di tutti gli altri Paesi. Ha una patria ma è anche di un’altra patria. Il vero cristiano vive la dimensione nazionale? Si, ma vive anche l’universalità. Le difficoltà a comprenderlo sono anche le ultime eredità della cristianità, un’epoca e una formazione culturale in cui si voleva far coincidere le due cose: per esempio l’essere italiano voleva dire essere cristiano. Ma Papa Francesco lo ha detto incontrando la curia romana nel dicembre scorso: la cristianità è finita. La Chiesa è una delle tante realtà nel mondo laico. Aggiungo, la cristianità non sempre ha coinciso con il Vangelo, spesso lo ha tradito. Nel passato la Chiesa ha avuto difficoltà ad accettare la laicità, oggi invece ne è il garante. Ma non è una laicità asettica. È una laicità che non cancella Dio.
WG: Come fare per sopravvivere spiritualmente al Coronavirus? 
MZ: Cercando di capire che siamo tutti nella stessa barca. Dobbiamo aiutarci per sconfiggere il coronavirus e tanti altri virus. Abbiamo bisogno degli altri per farlo. E poi, nell’apocalisse,  è evidente che bisogna alzare sempre lo sguardo. Lo dice Gesù, mentre la paura ti fa ripiegare, affronta l’Apocalisse. Affrontandola trovi il senso dell’amore.