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Crisi, isolamento e il dopo: cosa stiamo imparando?


Torno sulla questione dei limiti, della scienza, della ricerca medica, della conoscenza dei meccanismi che portano a contrarre malattie, a guarire, a peggiorare fino alle estreme conseguenze. In questo periodo, più che mai, i suggerimenti degli esperti vengono fatti propri dalla politica; dai decisori politici vengono poi tramutati in norme che incidono sulla vita quotidiana di tutti.  È necessario quindi che gli scienziati, gli esperti, esprimano opinioni basate su evidenze “solide”, verificabili e mettano da parte protagonismi e ambizioni personali. Stiamo riconsiderando limiti ed opportunità della scienza; i più avveduti scienziati, esperti e ricercatori stanno ammettendo i limiti delle loro conoscenze, senza per questo svilire la competenza. 
Proviamo a considerare alcune possibili conseguenze dello “stare a casa” che è consigliato, per il nostro bene, da parte di esperti in sanità pubblica, ricercatori e viene imposto dai politici, da chi ci governa. L’isolamento che viene ora richiesto agli italiani ed alla gran parte dei cittadini europei verte sul rapporto tra crisi e contagio. Restate a casa. L’isolamento che, viene imposto ai carcerati per forza, viene scelto dai monaci nelle loro celle, ora riguarda tutti.
Praticare la distanza tra di noi, per lo meno 1 metro tra me e chi mi sta vicino, può insegnarci a prendere la buona distanza dal nostro tempo. Cambiamenti di abitudini: il tempo vuoto e non libero può insegnarci a vedere gli altri senza pregiudizi, ma ci aiuta a comprendere che anche vedere noi stessi è una virtù. Non ci possiamo toccare, gli abbracci vengono rinviati. Possiamo imparare ad usare lo sguardo ora che non si possono dare strette di mano e carezze. Possiamo esercitarci al silenzio, a pensare, nel tempo vuoto. Possiamo apprendere nuove virtù nei giorni di isolamento: praticare la distanza, praticare la pazienza.
Anche coloro che li hanno solo criticato, stanno ora utilizzando i dispositivi informatici. Dai tablet (in italiano tavolette) agli smartphone (in italiano telefonino intelligente), connessioni e reti di ogni tipo, senza i quali non si fanno video conferenze, webex meetings (incontri via web – attraverso una ragnatela) e non si può realizzare lo smart working (lavoro agile, lavoro intelligente).  Benedetti i media, i social? Pare ora proprio di si.
È un comune esercizio attribuire a qualcun altro la colpa della diffusione del virus: ai cinesi incoscienti? Ai giovani irresponsabili? Prima la colpa delle nostre paure era da attribuire ai rom, ai migranti, ora ai giovani e ai cinesi. E forse i cinesi ci salveranno; di sicuro i giovani ci salvano giorno dopo giorno, da un fosco presente, nella speranza di un dopo migliore.
Stiamo capendo a fondo che ci vuole equilibrio tra necessità e risorse disponibili; ritorna il dilemma: selezionare chi salvare? Gli anestesisti ci ricordano che è un problema immanente, considerato l’attuale scenario sanitario, frutto di decenni di politiche neoliberiste e del primato delle aziende, di una visione basata su criteri di economicità della tutela della salute.
I giovani sono sospesi in una costante operazione di ricostruzione del mondo per combattere la noia.  I giovani ci ricordano che i nonni non devono diventare numeri e continuano ad indicarci la strada per continuare.
Gli anziani, la cui grande conquista è la saggezza, o almeno l’esperienza; la cui grande malattia è l’egoismo intriso di cinismo. Vedono corto in special modo se non hanno eredi che, non necessariamente, devono essere i loro figli e nipoti.
E dopo? Ci sarà un nuovo inizio? Come la ricostruzione dopo ogni evento catastrofico, come nel dopo guerra? Si vedrà in altro modo lo stare insieme? O tutto tornerà come era prima con la smania di fare, lasciar fare, reprimere le diversità, devastare l’ambiente che ci circonda?
Il caldo aiuta perché in estate stiamo più all’aperto e quindi meno a contatto tra di noi in ambienti chiusi; di conseguenza siamo meno esposti perché diamo minori possibilità al virus di trasmettersi. Ci aiuterà la calda stagione anche questa volta?
Da questa catastrofe virale stiamo imparando  che “siamo forti quanto è forte l’anello più debole della nostra catena” come ci ricorda l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Zygmunt Bauman in “Individualmente insieme” (Diabasis, Reggio Emilia 2008) paragonando la società a un ponte spiega che, come la tenuta del ponte è determinata non dai pilastri più forti, ma dalla capacità del pilastro più debole, così la fiducia e la ricchezza di risorse, di una società, si misurano dalla fiducia in sé, dalla disponibilità di risorse nei suoi segmenti più deboli e cresce con il crescere di tali fattori. 

RL