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Le conseguenze del virus: la scuola


Ci si sta assuefacendo alla scuola da remoto. La scuola, ma anche l’Università, al tempo del Covid 19, ha perso la sua migliore caratteristica: la presenza in classe, in aula.
Presenza, scambi e sorrisi, sfottò e lamentele, sguardi e appuntamenti. E inoltre, aspetto straordinario da non sottovalutare, la possibilità di disertare la scuola: come si fa ad assentarsi da scuola se la scuola è a casa? Come si fa a provare il brivido dell’uscita dalla classe un’ora prima, quando ci comunicano che l’insegnante di matematica non è potuta venire?
Nei mesi di marzo ed aprile del 2020 si è realizzata una drammatica emergenza dovuta al virus. Va bene. Gli esperti hanno indicato ai politici la strada da seguire per uscire dall’emergenza: stare a casa, distanziamento “sociale” (meglio chiamarlo individuale o sanitario), mascherine, lavarsi le mani. Va bene. Si sono finalmente date più risorse al servizio sanitario, raddoppiato il numero di posti letto in terapia intensiva. Va bene. Ciononostante il virus ha continuato a mietere vittime e malati gravi. Va male, molto male. Ora gli stessi esperti ci dicono che l’epidemia sta per trasformarsi in endemia. Bisogna convivere con il virus. Non si sa per quanto tempo, ma bisogna attrezzarsi, trovare nuove soluzioni per lavoro, trasporti, tempo libero. Va bene. 
Ma la scuola? L’Università? Le prospettive sono poco chiare. Una cosa deve essere, a nostro avviso, chiarita subito: va chiusa la fase di lezioni a distanza, da remoto. Si devono individuare modalità diverse di rientrare in aula. Ma, a settembre, scuole ed Università, si torna in classe. 
È necessario individuare nuove modalità di fare lezione, ma in classe, nelle aule. Si assumano più insegnanti, si ristrutturino le scuole. Si trovino le risorse economiche, nell’ambito dei finanziamenti a debito (come si sta facendo in altri settori) per la riorganizzazione del sistema scolastico nazionale, alla stregua del potenziamento del servizio sanitario nazionale. Lo richiede l’attuale situazione di emergenza. Poi si rispettino le distanze, si sanifichino costantemente gli ambienti, si introducano doppi turni laddove possibile. 
Non si può continuare col ritornello: le scuole rimangono aperte ma si fa lezione a distanza. È la fine di un modello educativo che ha creato eccellenze in molte parti d’Italia. Ridurre le scuole a postazioni da remoto, mettere le Università pubbliche alla pari di quelle che rendono possibile laurearsi solo online, significa affossare il sistema scolastico. Significa far del male a tutti, insegnanti studenti e famiglie. 
La scuola deve tornare in classe. Basta con la clausura domestica in video. A settembre gli studenti devono tornare in classe, con modalità diverse, certo. Ma le modalità vanno individuate ora, senza ridursi a studiare all’ultimo minuto, come fanno certi studenti. Studino ora i presidi, gli insegnanti, facciano proposte, attraverso le loro organizzazioni professionali, attraverso i sindacati. Non facciano, costoro, prevalere la logica deresponsabilizzante tipica della pubblica amministrazione peggiore, quando fa prevalere la burocrazia, scegliere il male minore per scaricare a monte o a valle le proprie responsabilità. È troppo alta la posta in gioco. Troppo importante il rilievo culturale, sociale dei nostri giovani che solo stando insieme, seppur distanziati, possono creare futuro.   
Eugenio Mazzarella su “Repubblica Napoli” di qualche giorno fa individua alcune possibili modalità del ritorno in classe:“Dividere ogni classe in due classi, con cui lavorino su due turni nella stessa aula lo stesso corpo docente. I due turni potrebbero durare 3 ora e mezza, sostanzialmente cinque ore di lezione da 40 minuti l’una. In sostanza la prima metà classe entrerebbe in aula alle 8,30 e ne uscirebbe alle 12. La seconda alle 13 e ne uscirebbe alle 16,30.  La didattica in presenza potrebbe essere implementata da un’ora e mezza di teledidattica erogata da un team di docenti di ogni scuola a questo specificatamente destinato, in modo da abilitare digitalmente tutti i ragazzi, sottraendoli al divario digitale tra di essi che certamente c’è. Gli spazi scolastici necessari rimarrebbero gli stessi”. Si dovrebbe poi, ci ricorda ancora Mazzarella: remunerare di più gli insegnanti che lavorerebbero su due turni quotidiani; formare al meglio ed incentivare adeguatamente il team di docenti che dovrà occuparsi di teledidattica; ridefinire i programmi scolastici, sgravandoli da ogni ridondanza. Alleggerire i docenti di gran parte delle attività aggiuntive al di là di quelle strettamente connesse alla funzione didattica. 
Altro aspetto molto importante: la scuola online esclude i disabili. Su questo argomento torneremo a breve.

La Redazione