Il maestro si chiamava Pancrate. Era un uomo alto e barbuto, dall'aspetto autorevole. Un naso camuso e labbra sporgenti conferivano intensità alla fisionomia, e l'espressione del volto sempre appariva assorta, ad indicare che egli, perduto in chissà quali meditazioni, non amava comunicare i suoi pensieri, anche perché si esprimeva in un greco approssimato, impuro. Vestiva di lini leggeri e chiari, ed era esperto di prodigi e di magia. Che fosse vero o no, si dicevano di lui cose strabilianti. Per esempio, che rendeva mansueti i coccodrilli del Nilo fino a cavalcarli e che gli stessi, vedendolo, gli facevano festa. Poi trasformava gli oggetti in uomini, persino scope e pestelli di varie dimensioni, dopo averli avvolti in mantelli. Si serviva di queste creature per attingere acqua, fare le provviste, cucinare e svolgere tutte le faccende domestiche. Quando i lavori erano stati eseguiti, era in grado con le sue formule magiche di riportare quelle creature alla natura di oggetti.
Tutti rispettavano, ammiravano e temevano Pancrate, che tuttavia viveva un'esistenza semplice, quasi ordinaria. Usciva al mattino per recarsi al mercato, e trascorreva il resto della giornata immerso nei suoi studi in una casa modesta, con l'eccezione di qualche passeggiata. Talvolta soffriva la solitudine, e avrebbe desiderato la compagnia di un altro essere umano. Non aveva mai pensato di sposarsi e temeva la presenza di una donna, ciarliera e prepotente, nella sua casa e nella sua vita. Per questo, quando si presentò alla sua porta il giovane Arignoto, fu quasi contento. Il ragazzo, dopo averlo elogiato ed avere espresso con devota ammirazione il desiderio di diventare suo apprendista, fu ammesso nella casa del maestro ed ebbe il permesso di seguirne le attività. Giorno dopo giorno Pancrate si affezionava al ragazzo. Capiva quanto fosse vuota la sua vita precedente, e lentamente lo conquistava quell' ingegno versatile e vivace. Lentamente iniziò a metterlo a parte dei suoi segreti, ad esortarlo ad assistere agli esperimenti di magia, ad ascoltare le sue lezioni di filosofia. Arignoto era affascinato e quasi sedotto dal maestro, che reputava l'uomo più potente del mondo. Inoltre il maestro era gentile con lui, lo invitava a consumare insieme i pasti e lo coinvolgeva negli spostamenti. Divennero inseparabili. Arignoto smise di tornare a casa sua e si trasferì da Pancrate definitivamente. Non gli mancava nulla: grazie alle magie del maestro i bisogni erano davvero pochi, perché c'era sempre chi lavorava per loro, fossero bastoni, scope o pestelli o altri oggetti inanimati di qualsiasi natura che, con la forza instancabile di un corpo solo apparentemente umano, svolgevano le mansioni più faticose. Anche qualche navigazione sul grande fiume era resa sicura dal fatto che i coccodrilli non erano aggressivi, ma scortavano festosi la loro barca. Arignoto sentiva l'affetto del maestro e aspettava con impazienza che gli insegnasse qualcuna di quelle formule magiche che producevano effetti tanto sorprendenti. Desiderava apprendere gli incantesimi per dimostrare la sua abilità agli altri, ma soprattutto all'uomo che con la sua saggezza gli insegnava il buon uso del potere. Mai infatti aveva visto Pancrate compiere una magia negativa, portatrice di mali, o aspirare ad un benessere diverso e maggiore, alla ricchezza, o ingannare, o vendicarsi dei torti con gli strumenti di cui disponeva. Immaginava di compiere un rito speciale, per il quale il maestro si sarebbe congratulato con lui, e riteneva di essere in grado di gestire le proprie conoscenze per alleviare qualche sofferenza, venire incontro a qualche bisogno della povera gente del luogo. Il momento atteso tuttavia non giungeva ed Arignoto cominciò a temere che il maestro fosse geloso dei suoi segreti ed abbastanza egoista da volerli conservare per sé. Così, prese a spiarlo di nascosto quando compiva le magie e riuscì a carpire qualche formula, qualche gesto. Un giorno, mentre il maestro era al mercato, replicò il rito della umanizzazione degli oggetti. Ecco il pestello trasformato in portatore d'anfore si recò alla fontana non una, ma due e tre volte e riempì la vasca di casa. Ben presto Arignoto si accorse, con stupore prima e con terrore poi, che non era possibile fermare quel portatore, che l'acqua avrebbe allagato la casa, perché la magia era incompleta. Il pestello macinava viaggi su viaggi e l'acqua scorreva in ogni dove. Allora l'apprendista afferrata un'ascia lo spaccò in due, e ci furono due portatori. Incapace di controllare il rito, non poteva disumanizzare l'oggetto umanizzato. Quando Pancrate tornò, gli ci volle ben poco per riportare l'ordine. Un paio di comandi ben espressi e nella casa tornò la calma. Arignoto attendeva con timore il rimprovero del maestro. Scuro in volto Pancrate lo mise alla porta con un gesto minaccioso. Andando via, l'apprendista riuscì, alzando il capo, a pronunciare queste parole: "Non di un apprendista avevi bisogno, ma di una compagnia per la tua vecchiaia. La mia esperienza di magia è rimasta a metà, ma ho capito come sono fatti gli uomini".
Maria Colaizzo
Tratto da “La scuola marginale. Storie di scuola brevi anzi brevissime” edizioni mille righe