testata registrata presso Tribunale di Napoli n.70 del 05-11-2013 /
direttore resp. Pietro Rinaldi /
direttore edit. Roberto Landolfi

Il Rischio

Il rischio è connaturale al vivere partenopeo, dove per rischio c’è un’antica ingenuità di trovare qualcosa di buono.

Lucia Mastrodomenico

 

Il Rione Antignano mi accoglie, mi consola, mi stordisce. E’ un viaggio nel tempo, tra antichi casali, celebri horti, ville letterarie, miracoli di sangue, dazi e folcloristiche processioni. E’ un luogo irrinunciabile: le bancarelle terapeutiche, i banchi del pesce e degli erbivendoli, i richiami dei venditori, la gente che transita e parla, si ferma e saluta, commenta, i basoli lesionati e i balconi fioriti a caso, i panni stesi.

Ad Antignano periodicamente mi reco in merceria, per rifornirmi di materiali per velleitari e opinabili esperimenti di cucito creativo in tempo di covid. Oggi proprio ho acquistato cotone, elastico, stoffa e poi il commerciante mi ha offerto di comprare “un numero per la riffa”, la lotteria che mette in palio piumoni matrimoniali “di valore”. Ho sempre provato irritazione per le lotterie, il gioco, l’estrazione a sorte, persino per il gioco del lotto. L’azzardo non ha mai esercitato su di me alcun fascino, con buona pace dei miei concittadini. Estrazioni, combinazioni, probabilità e vincite mi sono estranee, compresa la buona tombola di Natale, per non parlare dei numeri ritardatari e della cabala. La Smorfia mi ha attratto per motivi storici e letterari, e neppure ai sogni ho mai creduto. Dunque non aveva senso spendere un euro per partecipare alla riffa. Ho esternato al merciaio la mia cinica indifferenza: “Scusate, non gioco mai. Se pure giocassi sarei sicura di non vincere”. Il gentile venditore di fodere e filati ha ritenuto doveroso fornirmi una risposta articolata e convinta, che mano a mano che si espandeva nello spazio e nel tempo innervosiva visibilmente le clienti in fila dietro di me, fuori dal piccolo negozio, uniformate dallo squallore delle mascherine che a mo’ di museruole le rendevano (per fortuna) mute. “Signora, guardate, vi state sbagliando. Qua non si tratta dell’euro, ma del vostro modo di vedere le cose, la vita. Qua si deve rischiare, e ne può uscire qualcosa di buono. Un bel piumone matrimoniale che se non potete venire a prendervelo ve lo porto io a casa. Noi dobbiamo credere nella sorte, mica deve andare sempre tutto storto, su scegliete un numero”. Allora per porre fine a quel garbato filosofeggiare ho preso l’euro dal portamonete e ho iniziato a scegliere il numero: 3, 7, 10…erano tutti già presi. Gli ho chiesto di sceglierlo per me, dal grosso tabellone che aveva davanti. Le caselle erano grandi, e i numeri in grassetto vi troneggiavano a mo’ di segni divini, ciascuno con il suo messaggio…vedendo la mia esitazione il commerciante mi ha proposto il numero 1. Il primo e il più importante, metaforicamente parlando. Finalmente sono uscita, ma la frase di Lucia mi ronzavanella testa. Rischio e antica ingenuità, la forza di sopravvivere chiedendo aiuto al soprannaturale, ironia e tragedia. Il dolore del popolo napoletano affonda le sue radici nella storia remota, e chi non crede nella possibilità di trovare qualcosa di buono all’ombra del Vesuvio offende gli altri che ci credono. Perché di speranza in speranza e di attesa in attesa la vita scorre più sopportabile, meno amara, e si possono cogliere e godere piccoli piaceri di cui neppure sospetteremmo l’esistenza se calcolassimo il rischio. Il rischio del vivere che non è la sfida eroica ma un manuale di sopravvivenza quotidiana, ordinaria. Non il rischio fine a se stesso e neppure quello che ci impongono le scelte, ma un allenamento a cogliere l’opportunità di una sia pur transitoria felicità. Il mio rifiuto di correrlo, questo rischio, mi aveva posto fuori dal circuito virtuoso di chi sa affidarsi al destino. L’eroe napoletano compiva il suo atto di coraggio con la stessa generosità di quello greco, perché quel coraggio ereditato dagli avi e dai padri e trasmesso ai figli era l’unico a consentire la sopravvivenza alla miseria, ai problemi e all’infelicità. “Sono caduti gli anelli, ma sono rimaste le dita”.

Nella stessa mattinata, 50 metri più avanti, ho comprato dal fruttivendolo un chilo di clementine. Il prezzo era buono, anche ottimo. “Evitate di darmi quelle toccate, scegliete le migliori”. “Ma a questo prezzo, correte il rischio di trovarne qualcuna guasta…sempre vi conviene!”. Ecco di nuovo correvo il rischio, sperando in qualcosa di buono. Magari le clementine erano tutte sane. “La vita è un affacciarsi alla finestra”, e ancora “Storta va, dritta viene, sempre storta non può andare”: saggezza popolare.

Non si può dire che l’ingenuità di cui scrive Lucia consista in una superficiale e sprovveduta fiducia nella vita, nei rapporti sociali. Il napoletano sa essere malizioso e calcolatore, oltre che altruista e compassionevole. Non è l’ingenuità dell’innocenza, o l’incapacità di riconoscere l’inganno. E’ difesa dall’esposizione alle difficoltà, al male, è affermazione di energia, è speranza incrollabile in un mondo migliore, è negazione delle brutture e delle miserie della realtà. L’ingenua fiducia del popolo napoletano nel buono che sempre si può trovare è un vero e proprio miracolo. Come quello di san Gennaro, amatissimo patrono, soprannaturale garante di salvezza e felicità.

 

Maria Colaizzo