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Simone Weil e i bisogni dell’essere umano



Lo sguardo attuale di una pensatrice che continua ad offrire notevoli spunti di riflessione nei tempi di crisi che viviamo

In una fredda giornata di dicembre del 1942 Simone Weil è seduta ad un tavolino in una piccola stanza del Fronte di Liberazione “France Libre”, mentre esamina pile di fogli dei Comitati di Resistenza in esilio, coordinati dal generale De Gaulle, per tentare di dare una parvenza di organizzazione alla Francia post- bellica. E’ stanca, spossata, ma animata dal desiderio di dare ad una Europa libera e democratica una base solida, i cui pilastri sono i bisogni dell’anima, eternamente calati nella dimensione del lavoro e dell’esistenza umana. Su questi pilastri urge una riflessione seria che, a distanza di anni, è ancora attuale.

I bisogni sono obblighi e sono efficaci se vengono riconosciuti: ogni individuo non deve avere la sensazione di trovarsi di fronte ad un bivio, che lo costringa a scegliere tra diritti da un lato e doveri dall’altro, poiché queste parole esprimono solo punti di vista differenti. E’ la relazione tra soggetto e oggetto che cambia le prospettive. Se un uomo pensa a sé ha solo doveri, se invece considera gli altri uomini crede, dal proprio punto di vista, che abbiano solo diritti. Ma anche lui ha diritti, quando è oggetto di giudizio degli altri, i quali a loro volta riconoscono i propri obblighi nei suoi confronti. Questo porta a pensare che se l’uomo fosse solo in tutto l’universo non avrebbe alcun diritto, ma solo obblighi, come l’obbligo di preservare se stesso.

Il diritto nasce da esigenze reali, da situazioni particolari, da precise condizioni, rispetto all’obbligo che può essere incondizionato, al di sopra di ogni condizione. Oggetto dell’obbligo è l’essere umano, perché appartiene all’ambito delle cose umane. Ognuno di noi è obbligato verso ogni essere umano, per il solo fatto che è un essere umano e non è necessaria alcuna particolare condizione perché vi sia questo riconoscimento.

Simone Weil senza esitazione scrive: “A essere eterno è solo il dovere verso l’essere umano in quanto tale”[1].

Questo obbligo non poggia su alcun fondamento, ma si genera nell’accordo della coscienza universale. L’obbligo che lega gli esseri umani è il rispetto, il quale deve essere effettivamente riconosciuto in modo concreto, non in astratto, bensì nei fatti della storia che gli individui costruiscono giorno dopo giorno.

Tale obbligo è radicato nella coscienza di ognuno, poiché “nessuno pensa che un uomo sia innocente se, avendo cibo in abbondanza e trovando sulla porta di casa qualcuno mezzo morto di fame, se ne vada senza dargli nulla”[2]. Simone Weil invita a riflettere sulla in- umanità che si verifica ogni volta che qualcuno, potendo soccorrere un altro in difficoltà, non lo faccia. Gli obblighi sono i bisogni umani tanto fisici quanto dell’anima, poiché rispondono alle necessità della vita: ognuno sente l’esigenza di proteggersi contro la violenza, prodigarsi per avere un tetto sulla testa, procurarsi cibo, vestiti, igiene e curare le malattie. Questi bisogni che l’uomo sente di dover soddisfare per sé sono gli obblighi che ha e che deve sentire di avere nei confronti degli altri esseri umani, poiché se non vengono rispettati, la persona cade in uno stato più o meno simile a quello della morte. I bisogni dell’anima trovano nutrimento nelle cose fisiche, poiché gli esseri umani sono tali non in astratto, ma nella prassi storica, nella trama delle relazioni sociali, nelle contraddizioni del divenire, nelle lacerazioni che attraversano i percorsi esistenziali. Simone Weil non ci parla di comunità sul piano ideologico, o del genere umano come di un’entità generale, ma parla di essere umano, considerato nella sua unicità, in rapporto alle cose particolari del suo tempo storico, in balìa dei suoi bisogni fisici e morali. La collettività è lo strumento per ricordare di generazione in generazione quel che è stato fatto per curare e difendere i bisogni. Eppure ci sono collettività “malate” che non alimentano tali bisogni, o non lo fanno a sufficienza, oppure, anziché alimentare, fagocitano tutti. Simone Weil  sa bene che i bisogni non vanno confusi con i vizi, o con i desideri, o con i capricci e che l’essenziale è cosa diversa dall’accidentale. Gli individui non hanno bisogno di pane o di carne, ma di cibo; non hanno bisogno di cappelli o di sciarpe, ma di vestiti. Perciò i governi devono garantire alcuni bisogni primari, perché in una comunità ogni essere umano si riconosca e sia riconosciuto come tale.

Il primo bisogno è l’ordine che dipende dal tessuto delle relazioni sociali in cui ognuno non  sia costretto a violare obblighi rigorosi per soddisfarne altri; in caso contrario ci sarebbe disordine ed incompatibilità fra gli obblighi, fino a degenerare nell’azione criminosa. L’esempio più chiaro di ordine è dato dallo stesso Universo, spiega Simone Weil, “nel quale un’infinità di azioni meccaniche indipendenti concorre a creare un ordine che, tramite le variazioni, resta fisso”[3]. Per poter comprendere che questo bisogno è fondamentale, bisogna conoscere tutti gli altri bisogni e che essi sono limitati e si dispongono per coppie di contrari e che, per far bene, devono giungere ad un equilibrio. Tutti hanno bisogno di cibo, ma anche di pause fra i pasti, tutti hanno bisogno di esercizio, ma anche di riposo, tutti hanno bisogno di riscaldarsi, ma anche di rinfrescarsi … E questo vale pure per i bisogni dell’anima: il giusto mezzo è ciò che permette di equilibrare e combinare fra loro i bisogni. 

Secondo indispensabile bisogno dell’anima è la libertà, ovvero la possibilità di scegliere nel concreto e nelle consapevolezza che essere in comunità significa rispettare i limiti delle proprie scelte, dinanzi alle regole imposte per la comune utilità. Tali regole, sottolinea Simone Weil, devono essere ragionevoli, semplici e dettate da un’autorità non considerata nemica o straniera, ma amata, perché sentita come appartenente a coloro che essa governa. La libertà esige buona volontà, altrimenti si rischia di rimanere puerili o irresponsabili di fronte all’ampissima scelta di possibilità di non nuocere il bene comune.

Terzo bisogno vitale dell’anima è l’obbedienza, che è di due specie: obbedienza verso le leggi stabilite e obbedienza verso coloro che ci dirigono e sono riconosciuti tali, perché capaci di scegliere per il bene comune, al quale essi stessi obbediscono. L’anima umana ha bisogno di nutrirsi di obbedienza, per conservare quell’ordine su cui poggia e si sostanzia la comunità, ma la coscienza, vigile, ha il dovere di ribellarsi lì dove l’obbedienza venga trasformata in schiavitù.

Anche la responsabilità è un bisogno irriducibile dell’anima, che vuole essere utile e gratificata per questo. Ognuno ha bisogno di dimostrare il proprio talento, le proprie capacità, le proprie attitudini per le quali si sforza e s’impegna, ed è in virtù di questo impegno che prende decisioni, fa scelte, dà consigli e si aspetta che il proprio valore, la propria utilità vengano riconosciuti dagli altri. E una collettività che non è in grado di dare soddisfazione ai suoi componenti è malata e deve essere curata.

Altrettanto importante è il bisogno di uguaglianza, che deve tradursi in un riconoscimento pubblico, poiché la stessa quantità di rispetto è dovuta ad ogni essere umano, dal momento che non c’è una differenza di gradi: ogni essere umano in quanto tale è uguale ad ogni altro essere umano. Tutto ciò non è scontato oggi, come non lo è stato in passato. “Che la professione di minatore e quella di ministro siano semplicemente due vocazioni, come quelle di poeta e di matematico”[4]. L’uguaglianza è assicurata se le condizioni umane vengano considerate non l’una più o meno importante dell’altra, ma solo come condizioni diverse.

Dal bisogno dell’uguaglianza scaturisce paradossalmente il bisogno di gerarchia, che non è la semplice e pericolosa venerazione nei confronti dei superiori, che in sé hanno un valore simbolico, ma è l’accettazione del posto che ciascuno moralmente occupa.

Non meno importante è il bisogno della punizione, che è soddisfatta pienamente non quando il codice penale è visto solo come procedura di costrizione, ma quando diventa un’educazione supplementare per meglio rispettare il bene pubblico. Lo sguardo di Simone Weil attraversa il tempo quando scrive: “La mancanza di considerazione per la polizia, la leggerezza dei magistrati, il regime delle prigioni, il declassamento definitivo dei pregiudicati, la gradazione delle pene che prevede una punizione molto più crudele per dieci piccoli furti che per uno stupro o per certi assassinii, e che prevede anche delle punizioni per la semplice sventura, tutto ciò impedisce che esista tra noi qualunque cosa che meriti il nome di punizione”[5]

La punizione deve far nascere un sentimento di giustizia, altrimenti non ha alcun valore riabilitativo.

“Come il musicista risveglia il sentimento della bellezza per mezzo dei suoni, allo stesso modo il sistema penale deve saper risvegliare nel criminale il sentimento della giustizia mediante il dolore, o, al bisogno, mediante la morte”[6].

Inoltre di vitale nutrimento per l’anima umana è la libertà d’espressione, perché è un bisogno irrinunciabile dell’intelligenza che si esercita in tre modi differenti: essa può cercare i mezzi per soddisfare uno scopo preciso, agendo sul piano tecnico, in questo caso è un’intelligenza “serva”; essa può spingere la volontà a fare scelte di orientamento, in questo caso è un’intelligenza dannosa per quelle anime che sono inclini al male; essa può agire autonomamente dalle altre due facoltà attraverso una speculazione puramente teorica, in questo caso è un’intelligenza che deve disporre di una totale libertà, poiché non è servile e non influenza.

La libertà d’espressione è un bisogno dell’intelligenza, la quale risiede solo nell’essere umano inteso individualmente, poiché non esiste un esercizio collettivo dell’intelligenza. Questa risponde della responsabilità del singolo di fronte agli altri. La libertà di pensiero si addice solo all’essere umano, il problema sorge quando, sebbene ci sia molta libertà di pensiero, non c’è pensiero.

La sicurezza e il rischio sono altri due bisogni essenziali dell’anima, poiché il primo libera l’anima dal peso della paura che, se durevole e non accidentale, si rivelerebbe mortale; il secondo, ovvero il rischio, preserva l’anima dalla noia che, se prolungata, potrebbe paralizzare l’essere umano, il quale invece ha bisogno di una certa dose di rischio per provare se stesso, per essere incentivato e per non infiacchire il proprio coraggio, che ha da essere vigile contro la paura.

 Un altro bisogno vitale per l’anima è la proprietà privata, perché l’anima è come persa se non è circondata da tutte quelle cose che sono come un suo prolungamento. Ogni essere umano considera suo tutto ciò che ha a che fare con il proprio lavoro, con le proprie distrazioni, con i propri affetti. Ma quando il sentimento di possesso non coincide con la proprietà giuridica, chiunque vive sotto la costante minaccia di separazioni dolorose. Anche il bisogno di proprietà collettiva serve all’anima umana, quando essa partecipa dei beni collettivi, ma Simone Weil considera questo bisogno più uno stato d’animo che una disposizione giuridica, poiché si tratta di un sentimento che nasce dalla personale coscienza civica, vedendo i beni pubblici come beni di tutti, indipendentemente dallo status sociale.

Infine il più sacro di tutti i bisogni è quello della verità, spesso ignorata e per amore della quale bisogna insegnare a non aver paura di smascherare la quantità di menzogne diffuse.

Solo la scuola può insegnare la correttezza dei mezzi di persuasione, poiché deve garantire un’educazione che non abbia solo un valore legale, ma anzitutto spirituale e poi intellettuale: è un dovere imparare ad amare la verità, la quale non può essere ricercata se prima non è amata. In caso contrario si corre il rischio dello sradicamento, una sorta di disamoramento verso quei doveri che soddisfano i bisogni dell’essere umano, ma anche una debole consapevolezza di quei diritti che sono frutto delle circostanze storiche.

Simone Weil non disdegna di volgere lo sguardo indietro, per recuperare le radici senza le quali non è possibile costruire un futuro sicuro e libero. “La Grecia è stata dimenticata. Ne è risultata una cultura che si è sviluppata in un ambiente molto ristretto, separato dal mondo, in un’atmosfera elitaria, una cultura notevolmente orientata verso la tecnica e da questa influenzata, molto imbevuta di pragmatismo, estremamente frammentata dalla specializzazione, a un tempo interamente spogliata del contatto con questo universo e dell’apertura verso l’altro mondo”[7]. Lo sradicamento può comportare che oggi un individuo può essere anche molto colto, ma senza alcuna concezione del destino degli esseri umani. 

Basti riflettere sulle cose del mondo!

Simone Weil spiega bene che chi è sradicato sradica, mentre chi è radicato non sradica. L’insegnamento deve essere dotato di una sostanza reale, perché il desiderio d’imparare per imparare è diventato molto raro e gli esseri umani devono essere educati alla bellezza, perché essa è un nutrimento per l’anima. 

Una bellezza che si traduca in azione pubblica, al di là di un discorso puramente estetico, poiché una vera educazione non indica ai bambini, agli adulti, all’individuo, al popolo, solo ciò che è bene, ma anche come perseguirlo.

“[…] è come voler accendere una lampada ad olio senza averci messo l’olio”[8]

Il timore, la speranza, l’espressione dei pensieri, l’esempio, le azioni sono moventi dell’anima.

L’azione politica è efficace se preceduta da una riflessione simultanea su molteplici aspetti e questo, naturalmente, implica da parte di chi prende decisioni per gli altri più attenzione e più cura, proprio come fanno gli artisti o gli scienziati. Simone Weil è perentoria nella sua analisi: “Ma perché la politica, che decide il destino dei popoli ed ha come oggetto la giustizia, dovrebbe esigere un’attenzione minore dell’arte e della scienza, che hanno come oggetto il bello e il vero?”[9].

Anche per la politica è prevista una composizione su piani multipli e, come per la scienza e per l’arte, ha bisogno di veri e propri sforzi d’invenzione.

Purtroppo, oggi, la politica è sempre più una tecnica di conservazione del potere, scambiando quest’ultima per un fine, e non considerandola semplicemente un mezzo. Per comprendere a fondo la varia natura delle cose, bisogna studiare bene la storia, non riducendola a date e punti di riferimento, ma ponendovi attenzione, affinché gli eventi siano indagati in relazione al bene e al male, non separando mai lo studio (della storia) dall’esperienza della vita. Abbiamo il dovere di cercare la verità, per evitare di dar da mangiare menzogne ai giovani e di alimentare la cultura dell’indifferenza reciproca. 

Simone Weil parla di obblighi come la condizione indispensabile perché ci siano legami sociali, in una comunità dove la superiorità del proprio diritto continua a mortificare la preoccupazione per i bisogni degli altri. Lotte e oppressioni segneranno sempre il movimento della storia se il motore di tutto continuano ad essere i bisogni degli uomini: dovremmo reinventare un umanismo che ruoti intorno all’impegno, che non è un impegno particolare, ma totale perché investe tutto l’essere umano nei confronti dell’altro.  

La libertà dell’impegno è in conflitto con la malafede, che significa mentire a se stessi, non solo nascondendo ciò che si è in base a ciò che si sceglie, ma anche giustificando e mistificando le proprie azioni. Il banco di prova per essere autentici “esseri umani” è sentirsi obbligati a volere contemporaneamente la nostra e l’altrui libertà.

 

Virginia Varriale



[1] Simone Weil, Il radicamento. Preludio a una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano, Le Lettere, Firenze 2021, p. 25.

[2] Ivi, p. 26

[3] Ivi, p. 31

[4] Ivi, p. 40

[5] Ivi, p. 43

[6] Ibidem

[7] Ivi, p. 67

[8] Ivi, p. 218

[9] Ivi, p. 245