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Gibellina Nuova, un velo di cemento per non dimenticare

 


Il Grande Cretto di Alberto Burri

Gibellina Nuova si manifesta ancor prima di arrivare nel centro abitato: la gigantesca Stella d’Ingresso al Belice di Piero Consagra ti accoglie spendente già sull’autostrada quasi una epifania del nuovo, di una rinascita diversa, una ricostruzione dell’anima prima che dei luoghi. Il nuovo paese fu costruito ex novo in seguito al terremoto che nel 1968 distrusse la maggior parte dei comuni della valle del Belice, in provincia di Trapani, a poco più di una decina di chilometri dal vecchio, le cui macerie giacciono ricoperte dalla più estesa e straordinaria opera di land – art che è il Grande Cretto, o Cretto di Burri dal nome del suo autore l’artista Alberto Burri; una sorta di velo di cemento su quello che restava della vecchia Gibellina, dove le macerie sopravvivono inglobate nei blocchi di cemento attraversati da solchi che furono le vie stesse del paese. Si deve a Ludovico Corrao, allora sindaco di Gibellina, nel 1970, la scelta di riedificare Gibellina attraverso un ambizioso progetto di ripensamento del luogo coinvolgendo artisti e architetti di fama internazionale. Il loro ingegno e la loro generosità contribuirono a dare alla città un nuovo riassetto degli spazi e degli edifici pubblici, anche attraverso la produzione di molteplici istallazioni, facendo di Gibellina una sorta di spazio espositivo a cielo aperto.

Stella d’Ingresso al Belice di Pietro Consagra

Gibellina si presenta con un impianto urbanistico all’avanguardia, costellata da oltre cinquanta opere d’arte e installazioni di stile futuristico. Oltre al Cretto ed alla maestosa Stella d'ingresso al Belice realizzata in acciaio inox dallo scultore Pietro Consagra, considerata il simbolo del territorio, è significativo il sistema delle Piazze snodo collettivo della città, progettato da Laura Thermes e Franco Purini, o piazza del comune disegnato da Alberto e Giuseppe Samonà e Vittorio Gregotti, decorato con le ceramiche di Carla Accardi e contornato dalle sculture in metallo bianco di Pietro Consagra, intitolate allusivamente “La città di Tebe”. Dall’altro lato della piazza sono collocate altre due installazioni di grande interesse artistico “Città del sole” di Mimmo Rotella e “La Torre” di Alessandro Mendini che per 4 volte al giorno, rievoca sonoramente le “origini popolari” della vecchia Gibellina. Nella parte più alta di Gibellina si trova la Chiesa Madre, opera di Ludovico Quaroni e Luisa Anversa, caratterizzata da una grande cupola bianca evocante le forme della dominazione araba in Sicilia.

Il sistema delle Piazze

Molto suggestiva sulla strada del Cretto la Montagna di sale di Mimmo Paladino, come quella che abbiamo avuto il piacere di poter condividere come napoletani a Piazza Plebiscito nel 1995. Il progetto di ricostruzione nasce sull’integrazione tra la creatività dell’artista e la capacità degli artigiani del posto di realizzare con ferro, legno ed altri materiali il progetto artistico, innovando la loro tradizione del territorio.  Negli anni ‘80, con le Orestiadi si utilizza anche la drammatizzazione teatrale per il recupero della tradizione della tragedia greca. Alcuni grandi artisti firmano le scene; tutti i costumi teatrali sono realizzati delle sarte del posto.
Gibellina Nuova attualmente soffre l’abbandono e l’incuria, che rischiano di compromettere questo museo en plein air, questa testimonianza di possibile sviluppo sociale virtuoso. Il tema dibattuto è quello dell’arte al servizio del territorio che rischia di essere piuttosto il contrario, nella più assoluta autorefenzialità degli artisti, oltre al problema della conservazione ed anche il raffreddamento del turismo in una stentata economia locale.  Nel 2016 a decenni di distanza dall’inizio di quell’avventura, arriva un nuovo esperimento. Sempre con al centro l’arte, in particolare la Street Art. Sten e Lex regalano alla città un’altra opera a cielo aperto,“Varco” davvero in straordinaria continuità artistica con il visionario progetto di Ludovico Corrao.

Varco di Sten e Lex

Scrive Davide Camarrone nel suo libro “I Maestri di Gibellina” edito Da Sellerio: “Nella notte tra il 14 e il 15 di gennaio del 1968, il paese s’era addormentato nel feudalesimo per svegliarsi nell’età contemporanea. Il terremoto aveva distrutto con le case e con i lutti anche un passato di miseria e di emigrazione e questo doveva essere superato o poteva ripetersi in altre forme. Dunque l’esperimento del popolo di Gibellina, la sfida che fu chiamato a reggere non volle essere quella della semplice riedificazione, ma quella della ricostruzione della speranza negata: «ricostruire la memoria del futuro e non la memoria del passato» imprigionando il passato con tutta la sua poesia e con tutta la miseria nel Cretto di Burri. Perciò Ludovico Corrao, il coraggioso sindaco, chiamò, più che le ruspe i piani urbanistici e le speculazioni, artisti da tutto il mondo per erigere un paese in cui il linguaggio evocativo della tradizione fosse sostituito dal linguaggio suscitatore di opere nuove dell’arte attuale. Fare di Gibellina, attraverso la presenza fisica dell’arte a ogni angolo di strada, un centro pulsante di creazione e di cultura. E non per consolare con la bellezza. Ma per spingere a nuove attività il vecchio sapere delle mani dei contadini e degli artigiani. Fu questo l’esperimento.”

Maria Vittoria Montemurro