testata registrata presso Tribunale di Napoli n.70 del 05-11-2013 /
direttore resp. Pietro Rinaldi /
direttore edit. Roberto Landolfi

Due anni dopo

Due riflessioni tratte dalla newsletter di “Avvenire”.
(NdR)
 

Due anni dopo l'eccidio di Hamas, Israele sempre più isolato. Cosa non ha funzionato?

Care lettrici e cari lettori,
questa settimana ancora e sempre Gaza è al centro dell'attenzione di tutti. Sì, di tutti, perché le folle oceaniche viste tra venerdì sera e ieri nelle città italiane - e che si vedrano oggi nella manifestazione nazionale di Roma - dimostrano un interesse sincero, un desiderio di "esserci", di fare qualcosa in prima persona per dire "basta" a questa guerra devastante. Intanto procedono le trattative tra Israele ed Hamas, a partire dal piano elaborato a Washington con il presidente americano Trump: sono ore decisive per capire se gli ostaggi ancora in mano agli estremisti saranno rilasciati e se l'offensiva di Tel Aviv si fermerà. Ecco, parliamo di Israele e facciamoci una domanda: cosa non ha funzionato perché Israele passasse dalla solidarietà dopo l'eccidio del 7 ottobre, di cui tra pochi giorni ricorre il secondo anniversario, alla riprovazione così massiccia in tutto il mondo, con poche eccezioni, tanto da chiamare "genocidio" quello che sta portando avanti a Gaza?

Lo spiega in un bell'intervento sul nostro inserto culturale Gutenberg la storica Anna Foa. Il fatto è che la iniziale "guerra di difesa" di Israele dopo pochi mesi ha cominciato ad «apparire come una gigantesca operazione che mirava non a sconfiggere Hamas e a liberare gli ostaggi, ma all’annessione dei territori occupati e all’espulsione dei palestinesi e che aveva il suo centro nella Cisgiordania: la sede del Governo provvisorio palestinese che avrebbe dovuto, negli accordi di Oslo, essere il nucleo del futuro Stato palestinese». Più ancora che i bombardamenti e le decine di migliaia di morti sotto le bombe, «a determinare il cambiamento dell’opinione pubblica sono la carestia indotta, e negata pervicacemente da Netanyahu, e il blocco dei rifornimenti a pochi chilometri dai luoghi dove i palestinesi muoiono di fame (...)Misure contro Israele, boicottaggi economici e culturali, blocco dell’invio di armi vengono chieste anche da Paesi, istituzioni, gruppi fino a quel momento esitanti o contrari. Solo gli Stati Uniti di Trump restano come inamovibile supporto di Israele». Nelle ultime settimane la situazione è precipitata, con gli sfollati, l'esilio forzato e, d'altro canto, i nuovi spiragli a livello internazionale. Il recente riconoscimento dello Stato di Palestina da parte di tanti Paesi (non l'Italia) è un forte sostegno ai palestinesi e alla loro identità, «un riconoscimento morale, nel momento in cui a Gaza si realizza uno sterminio e in Cisgiordania il governo Netanyahu si accinge all’annessione». Il riconoscimento e il fragile accordo di tregua sottoposto ora al vaglio di Hamas. conclude Anna Foa, «sono sottili tracce di luce nella notte che stiamo vivendo, non solo in Palestina e in Israele ma anche qui, nella vecchia Europa sempre più in difficoltà fra le aggressioni dello zar Putin e quelle solo verbali di Trump. Sta a noi farle diventare un faro che dissolva l’oscurità». 

 

Una ex infermiera è la prima donna a capo della Chiesa anglicana d'Inghilterra

La Chiesa anglicana d'Inghilterra avrà per la prima volta come capo una donna, Sarah Elizabeth Mullally (nata Bowser), 63 anni, eletta ieri arcivescova di Canterbury, massima autorità nella gerarchia anglicana, succedendo a Justin Welby, dimessosi lo scorso 6 gennaio. A eleggerla è stata l'assemblea sinodale sotto la supervisione di un comitato di garanti nominato dal re d'Inghilterra. Mullally, nata a Woking, cittadina a una trentina di chilometri da Londra, è un'ex infermiera arrivata nel 1999 a ricoprire ii ruolo di capo del Servizio infermieristico d'Inghilterra. Divenuta sacerdotessa nel 2002, nel 2004 ha deciso di lasciare gli impegni civili e di dedicarsi a tempo pieno al lavoro pastorale. Ricevuta nel 2015 l'ordinazione episcopale - quarta donna vescovo della Chiesa d'Inghilterra - ha guidato prima la diocesi di Crediton e dal 2018 l'arcidiocesi Londra. È sposata dal 1987 e ha due figli adulti, Liam e Grace. «Lavare i piedi ha plasmato la mia vocazione cristiana: come infermiera, poi come sacerdotessa, poi come vescova» ha detto Mullally, «nel caos apparente che ci circonda, nel mezzo di una così profonda incertezza globale, la possibilità di guarigione risiede in atti di gentilezza e amore».