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Oltre i propri confini di Luce Irigaray


Dalla quarta di copertina del libro di Luce Irigaray “Oltre i propri confini” si legge: “ Oggi parliamo molto dell’ospitalità da dare agli stranieri, nel nostro paese, nelle nostre città, perfino nella nostra casa. Dimentichiamo che questo dovere morale non sarà possibile se non siamo capaci di ospitare chi è vicino a noi in noi stessi: nel nostro cuore, nel nostro respiro, nella nostra vita. E se non scopriamo prima che una simile ospitalità ci porta la felicità, anzitutto se è condivisa”
 
Il libro, edito da Baldini e Castoldi nel 2007, è stato ideato in Italia, “oltre i miei propri confini nazionali, culturali, linguistici” scrive la Irigaray.
In due paragrafi del libro si fa riferimento a Lucia Mastrodomenico. Nel secondo paragrafo: “Imparare ad amare” dal sottotitolo “in amicizia con Lucia”. Nel terzo “Intervista di Lucia Mastrodomenico a Luce Irigaray”. Lucia intervista l’Irigaray ponendole una serie di domande su temi quali: il rapporto tra desiderio ed amore; quando si crea il luogo del noi tra un uomo e una donna; come si crea la condivisione della felicità; si può imparare ad amare; come viene usato l’io e il tu dai ragazzi e dalle ragazze; che relazione c’è tra l’amore e la famiglia.
A proposito di come viene usato l’io e il tu dai ragazzi e dalle ragazze, Lucia chiede all’Irigaray cosa significa, quest’uso nella comunicazione; le ricorda che nella prefazione del libro  “Chi sono io, chi sei tu” l’Irigaray scrive: “Questo libro non parla dei ragazzi, li lascia parlare. Li lascia dire ciò che di solito si tengono per loro o si sussurrano fra di loro”
<Questo è il metodo utile, scrive Lucia,  per insegnare nella scuola la differenza sessuale e la costruzione dell’identità sia dei maschi che delle femmine. A proposito della differenza del modo di parlare da parte delle ragazze e dei ragazzi, invita la Irigaray, a spiegare la differenza delle frasi composte dai bambini e dalle bambine, dai ragazzi e dalle ragazze, con le parole : “io…tu/te”, “io…lei/lui”, “noi”, “io dico a lei” “io dico a lui” etc.>
Irigaray risponde: “ Generalmente il discorso del ragazzo concerne il proprio io e il mondo dell’io: l’io e i suoi oggetti, le sue attività e i suoi giochi, i suoi amici, le sue emozioni. Nel discorso del ragazzo non c’è posto per il dialogo anzitutto con la ragazza, che interviene nel discorso solo per rimarcare una contrapposizione ai propri gusti, le proprie attività, qualità ecc. Se si fa un’allusione ad una persona dell’altro genere, si tratta il più delle volte della madre, di un personaggio mitologico o di una strega. In questo caso le figure femminili sono piuttosto spiacevoli ed ostili, probabilmente perché rappresentano  una sorta di proiezione dei sentimenti ostili che il ragazzo esprime nei confronti delle persone del genere femminile, anzitutto della sua età. Si può dunque dire che il ragazzo privilegia l’io, il rapporto dell’io con oggetti, la relazione dell’io con i suoi simili e che le rare allusioni a persone dell’altro genere rinviano a persone superiori sia per genealogia, sia per autorità scolastica, sia per statuto storico.
La ragazza invece privilegia il”tu” a scapito dell’io, la relazione con un altro soggetto a scapito della relazione con l’oggetto, la relazione con una persona dell’altro sesso, la relazione orizzontale e non verticale: genealogica o gerarchica.
Ci sono altre differenze. Ma queste fanno già apparire quanto la comunicazione tra lei e lui sarà difficile. La ragazza si rivolge ad un “tu” maschile per cui il dialogo non è piacevole. Lei propone al ragazzo una relazione fra soggetti fuori da ogni oggetto, cosa che lui non sopporta, di cui non è capace. Cerca di attrarre il ragazzo in un rapporto a due che lui teme, rigetta, sfugge. Lo scacco della relazione è garantito. Ciò spiega i disastri nelle relazioni amorose ma, più in generale, la povertà del nostro mondo relazionale. Spiega anche gli stereotipi relativi alla soggettività di ogni sesso. Questi stereotipi si rinforzano con l’età per mancanza di educazione a condividere nella differenza, e perché l’educazione è basata sulla necessità della sola soggettività maschile. Ciò conferma al maschio il valore del suo “io” – un io che non è senza problemi, soprattutto relazionali – e non aiuta la donna ad evitare di proiettare il suo “io” in un tu maschile, anche se questo non intende niente del significato di un simile gesto, non lo desidera, eppure attrae la donna come solo il vuoto appunto può attrarre”.

Se vogliamo trasmettere ai ragazzi e alle ragazze un’eredità relativa alla liberazione delle donne, la cosa più utile da fare, sarebbe trasmettere elementi necessari per una coltivazione dell’amore senza sottomissione dell’uno all’altro.
(RL)